Una a zero
Melonia Trump, Melon Musk, Milonga Milei, Georgia on my mind. Fa benissimo Giorgia Meloni a proporsi come interlocutrice privilegiata di Donald Trump e diventare di fatto il ponte tra l’Europa e gli Stati Uniti, tra il Mediterraneo e l’Atlantico. È un’occasione da cogliere al volo, e lo diremmo anche se fossimo contrari al governo Meloni, come hanno ben colto i (pochi) che a sinistra ragionano col cervello e non con i succhi gastrici e la bile. Per l’Italia è un vantaggio.
Il quadro che ci è stato presentato in questa settimana del trumpismo nascente è allarmante quanto surreale. Sembra che fino a ieri vivevamo in un mondo pacificato, con un’Europa unita e gagliarda, senza censure e minacce alle libertà, con i magnati che stavano a cuccia, senza contatti col potere… Poi è arrivato Trump e tutto viene sconvolto.
No, non è così. Al contrario, veniamo da un periodo tempestoso di guerre che hanno dilaniato il mondo e hanno messo a rischio la pace mondiale. Viviamo lo spettacolo di un’Europa incapace di esprimere una linea unitaria, al rimorchio degli Stati Uniti, imbambolata e impotente davanti a tutti i grandi eventi dei nostri giorni. Siamo sotto un regime di sorveglianza ideologica, chiamato woke che non vuol dire risveglio ma proprio sorvegliato; censura nei social, colossi del web al servizio dell’ideologia progressista e woke. Se ora gli stessi big attaccano l’asino dove vuole il nuovo padrone, mentre fino a ieri lo attaccavano dove voleva il padrone dem, non vuol dire che stia nascendo un pericoloso regime; vuol dire semplicemente che si sono accordati oggi come ieri con il vincitore. I primi nemici dell’Europa sono gli europei. Certo, inquietano alcuni aspetti caratteriali, alcune lobbies e supporti tecno-capitalistici, alcune drastiche decisioni; ma con Trump è possibile che la situazione generale migliori (Breve inciso: chi ironizza sulla lucidità di Trump per via dell’età offende Mattarella e dimentica che fino a ieri c’era Biden, più vecchio di lui e visibilmente meno lucido).
In questo quadro, trovo naturale che la Meloni, oltre a questioni di opportunità politica e strategica, si adegui pure lei al nuovo corso, dopo il feeling con Biden. Trump per giunta è affine sul piano politico e su molte idee.
Qual è, viceversa, il punto critico da affrontare, dove possono sorgere inevitabili differenze e alcune divergenze? Il primo, inevitabile, è che gli interessi americani non coincidono con gli interessi europei, mediterranei e italiani. E questo valeva ieri con Biden e vale oggi con Trump. Il fatto che in Trump ci sia un’ulteriore sterzata verso gli interessi nazionali americani, per noi vuol dire due cose di contrastante effetto: in negativo vuol dire che accentuerà gli interessi degli Usa a nostro discapito; in positivo che si occuperà dell’America e avrà meno pretese di condizionare, dirigere, orientare i partner sulla base di quella missione umanitaria (anche a suon di guerra e di bombe) che caratterizza da sempre le amministrazioni dem negli Stati Uniti. E che in tanti guai ci ha trascinato. Si dovrà dunque trattare: Trump è il contrario di Biden, annuncia guerre e apre negoziati. Finora i dem annunciavano la pace e praticavano le guerre.
Noi dovremo negoziare ruoli, patti, dazi. Sapendo che abbiamo una comune preoccupazione: frenare la Cina, l’espansione commerciale e tecnologica asiatica. Di conseguenza anche per noi è tempo di bilanciare la globalizzazione delle merci e della tecnica, perché non va più a vantaggio dell’Occidente, con alcune norme a protezione della nostra economia.
Sul piano culturale – in senso lato, s’intende – le convergenze sul piano conservatore, nazional-patriottico e famigliare tra l’America di Trump e l’Italia di Meloni sono evidenti ma non sono da trascurare nemmeno le differenze. Il tessuto cristiano a cui Trump si riferisce è di tipo protestante, biblico-millenarista; e il modello sociale che ne deriva non ha le correzioni sociali e popolari della nostra tradizione politica, del nostro umanesimo, del cattolicesimo sociale, del nazionalismo sociale (non fate i cretini, è l’esatto opposto del nazionalsocialismo, detto nazismo). Il tecno-capitalismo non si sposa agevolmente con la nostra tradizione sociale e comunitaria, a partire dalla dottrina sociale della Chiesa. C’è poi da loro un impianto liberista e fordista, mercantile e “privatista”. (Tanto più lontano è l’anarco-liberismo di Milei). Nella stessa tradizione repubblicana statunitense, il massimo d’apertura è il conservatorismo “compassionevole”, che non somiglia alla nostra “destra sociale” o al nostro popolarismo d’ispirazione cristiana.
Bisogna tenere a mente queste differenze e saperle soppesare nelle sedi e nei momenti opportuni, insieme alle inevitabili differenze geopolitiche di chi abita nel cuore dell’antica Europa e dell’antico Mediterraneo, e chi vive nel Nuovo Mondo, al di là dell’Oceano Atlantico. La Meloni non dev’essere l’americana de noantri; si ricordi di rappresentare l’Europa e il Mediterraneo, e i loro interessi.
Poste queste basi, torniamo a un’osservazione di ordine generale. Siamo entrati nell’epoca delle leadership solitarie, a occidente tramite il voto libero, democratico e popolare, altrove invece con un’inclinazione autocratica e una ferrea struttura militare. La solitudine del leader è oggi il tratto preponderante del mondo e va compreso senza euforie e senza tragedie, come un dato di fatto con cui misurarsi.
Nel caso italiano, la Meloni vive una situazione eccezionale: è sola. Ha due oppositori, più frattaglie, di poco spessore e di poca presa; ha due alleati che non sono in grado di insidiare la sua leadership.
Neanche Berlusconi ebbe questo privilegio, e questa totale solitudine, ma molti contrasti; e Renzi fu un miraggio, una parabola veloce, quasi un disco volante. E la Meloni è sola, purtroppo, anche nel suo partito, con una classe dirigente mediamente scarsa, non vorremmo ripeterlo per l’ennesima volta; nessun vice, nessun alter ego, nessun gruppo di prim’ordine. Si trova, dunque, in un deserto, salvo alcuni palazzi istituzionali (a partire dal Quirinale) e qualche Dignitario Atlantico (genere Draghi). Non ha rivali, in questo momento, non ha competitori né interni né esterni, anche se brulicano le manovre dietro le quinte. Detto in termini agonistici e sportivi: Una a zero. Meloni-Resto del mondo. Partita esaltante, che finora ha ben condotto, ma piena di insidie. Deve giocarla senza debolezze e senza presunzione, tra audacia e prudenza, riuscendo a capire quando è il momento dell’una e quando dell’altra. Una partita da giocare, è il caso di dire, con destrezza.
La Verità – 26 gennaio 2025