Pensieri su Leo Longanesi (di Marcello Veneziani)

Per finire in sintonia con Leo, una decina di pensieri dedicati a lui:
Da quasi sessantant’anni Longanesi è morto. Ma sono numerosi i viventi del giornalismo italiano che sono morti più di lui.
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In piedi e seduti. Il miracolo di Longanesi: tra Malaparte e Montanelli era l’unico che riusciva a stare in piedi sembrando di star seduto.
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Longanesi fu mezzo conservatore, mezzo anarchico, ma soprattutto mezzo.
Anche del Novecento visse mezzo Secolo d’Italia.
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Longanesi fondò L’Italiano presentandolo come “settimanale della gente fascista”. Ma non fu settimanale perché diventò presto mensile; non fu per la gente perché fu per pochi, singoli lettori; e non fu fascista, perché allevò spiriti critici e antifascisti.
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Longanesi fu fascista ironico e all’antica. Ai dissidenti avrebbe dato rosolio di ricino.
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Mussolini secondo Longanesi fu l’amante e non lo sposo dell’Italia; questo spiega la passione che suscitò in vita e l’odio bestiale in morte, che si accanì contro il suo corpo. Dopo, l’Italia ha avuto amanti lontani, russi o americani; varie zie, precettori e governanti, ma non si è mai maritata.
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Col voto libero e il suffragio universale gli italiani scelsero a grande maggioranza partiti non liberali, dividendosi tra nostalgici del Papa Re, della monarchia e del fascismo, e fautori del social-comunismo e della dittatura del proletariato. Usarono la libertà per invocare l’autorità.
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Longanesi non separò mai la borghesia dal suo habitat nazionale e naturale, l’italianità. Sognò una borghesia cattolica, solare, mediterranea, allegra e tradizionalista. Ma il sognò annegò tra filistei, mariuoli e creme abbronzanti.
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Il conformista per Longanesi oscilla tra furbizia e imbecillità. Quando prevale la prima è sempre col potere, quando prevale la seconda viaggia con un regime di ritardo.