Non tutte le élite sono nocive

Per uscire dalla riduzione della politica al gioco della Boccia per far cadere a uno a uno i birilli di governo, che dura ormai da troppi giorni, provo ad alzare decisamente il tiro e a porre una questione culturale che ha un’enorme ricaduta pratica, politica e civile. Da tempo diciamo che la politica non si divide più tra destra e sinistra ma tra alto e basso. Da una parte ci sono le élites e dall’altra i popoli. Vista in superficie la tesi è fondata, anzi scontata e la sosteniamo convinti da tempo; spiega il conflitto tra populismi sovrani da una parte e potentati, caste, minoranze egemoni, classi dominanti, salotti chic e snob dall’altra. Però ogni tanto proviamo a metterla su strada e a verificare fino a che punto è vera, in che senso e quali effetti produce.

Per cominciare, il popolo non è solo quello che tifa per Trump e in Italia per la Meloni. Popolo è anche la marea di follower che segue Taylor Swift, varie post star e molti influencer. Pensate pure alla crescita esponenziale di follower della suddetta pompeiana; un’affollata bocciofila. Il peggio ha una capacità attrattiva e seduttiva assai forte sulle masse. La moda è un fenomeno di massa, i linguaggi banali e triviali sono fenomeni di massa, i tatuati sono masse, e potrei continuare. Tra volgo e volgarità c’è una stretta parentela, mentre non c’è nessun automatismo tra vox populi e vox dei. Possiamo certo dire che qualcuno manipola i gusti, eccita i desideri e veicola le masse; ma il presupposto sottinteso è che le masse siano facilmente manipolabili e suggestionabili perché superficiali, umorali, ignoranti, non dotate di intelligenza critica e di solidi contrappesi. Non spiegheremmo, del resto, il dominio del trash e del kitsch, l’analfabetismo di ritorno, l’allergia di massa alla cultura, al pensiero e alla bellezza, la refrattarietà alle vette e alla qualità. La massa è un popolo senza identità.

Su molti temi cruciali della nostra epoca non funziona la rappresentazione divaricata tra maggioranze e minoranze; ci sono spaccature verticali tra due mondi e popoli diversi, non tra alto e basso.

Ma qui entriamo nell’altro versante della questione, più delicato: le minoranze. Da una vita mi sforzo di correggere coloro che disprezzano le élites contrapponendovi il popolo: distinguiamo, dico, tra le élites che sono aristocrazie, i migliori, gli optimates di classica memoria, e le oligarchie, che sono le caste privilegiate che comandano e fanno i loro interessi sulla pelle dei popoli. La differenza tra élites e oligarchie è la stessa che corre tra classi dirigenti e classi dominanti: le prime si assumono la responsabilità di guidare una società, le seconde si arrogano il privilegio di sovrastarle. 

Le élites ci sono sempre state nel mondo e sono necessarie, trainanti: in ogni campo c’è una minoranza eletta, un’aristocrazia fondata sulla qualità, l’eccellenza, il merito e il valore. Nessuna società, nessuno stato, nessuna politica può fare a meno delle élites. Se lo fa, va verso la sua decadenza. È necessario che ci siano guide, classi dirigenti, gerarchie piramidali, che prevedono non solo il vertice e la base, cioè il leader e il popolo, ma anche i gradi intermedi, le élites. 

Questa mancata considerazione della qualità, delle aristocrazie necessarie, dei migliori ha una forte ricaduta sui governi e spiega la scarsa qualità delle classi dirigenti, non sottoposte a una selezione, ma solo a un meccanismo elementare di fedele sottomissione al leader o ai suoi delegati e al più di consenso elettorale. Per un buon governo, il consenso popolare conta quanto la qualità – che comprende l’eccellenza, la competenza, i meriti, le virtù – e la tradizione, ossia l’esperienza storica e il sentire comune tramandato nel tempo tra le generazioni. Non basta la partecipazione popolare per fare un buon governo, occorre anche la qualità delle decisioni e dei decisori. 

Questa distinzione di partenza ha precise implicazioni e dirette applicazioni. Prendiamo per esempio il rapporto tra le masse e i media, l’informazione, la cultura. Molta gente rifiuta l’informazione manipolata di regime e non legge più giornali, non segue più telegiornali, diffida dei libri, diserta il cinema, il teatro, l’arte, la letteratura; si affida al più ai social alternativi. Sacrosanta la denuncia, sbagliata la risposta. Se i media falsificano la realtà non è un buon motivo per chiudersi in un rifiuto globale apriori. Spesso è un alibi per la propria insofferenza alla lettura e per la propria incapacità di riflessione e senso critico; un alibi alla propria ignoranza. Se è vero che il mondo dei media è dominato da disinformazione e manipolazione, si possono sempre cercare fonti alternative, giornali differenti, almeno in parte, media meno inquinati. In ogni caso è meglio informarsi e magari poi criticare la stessa fonte, piuttosto che non leggere e pascere in una barbarie rancorosa di ritorno. Il fatto che ci sia un dominio ideologico woke a senso unico, tra politically correct e cancel culture, lo scriviamo pure noi, ogni giorno. Ma la risposta non è tornare alle caverne, rifiutarsi di leggere, andare a cinema o a teatro; ma selezionare, distinguere, guardare con occhi critico, cercare altre fonti, comparare, trovare alternative.

Insomma bisogna liberarsi dalla zavorra rancorosa che accompagna il populismo; e saper distinguere tra élites ed élites. E bisogna ricordarsi che la critica al progressismo, al materialismo, alla demagogia umanitaria, al comunismo e ai suoi derivati è nata col pensiero aristocratico, con la sociologia delle élites e la teoria della circolazione delle élites, con l’opposizione tra il regno della qualità e il regno della quantità. Ci vuole cultura per criticare la cultura dominante. O quantomeno attenzione alla cultura, voglia di sapere e di capire. Altrimenti rischiamo di scivolare dal popolo alla plebe, dalla civiltà contadina alla rozza cafoneria, dalle comunità native o elettive alla massa informe e ignorante, fino alla negazione della qualità, della capacità, dell’eccellenza e del bello, senza nemmeno rendercene conto.

Insomma andiamoci piano con l’opposizione tra alto e basso, distinguiamo bene cosa vogliamo dire contrapponendo popolo ed élite. Altrimenti non riusciamo poi a spiegarci perché ci troviamo sballottati in un referendum permanente tra arroganti e ignoranti, incapaci entrambi di farsi classe dirigente.

La Verità – 13 settembre 2024

 

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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