Non cadere nel tranello

Conosco poco i ragazzi di Gioventù nazionale per ragioni d’età e di lontananza da ogni militanza politica. Ma se li paragono ai ragazzi del Fronte della gioventù di ieri e soprattutto se li paragono ai ragazzi militanti della sinistra di oggi, mi sembrano decisamente più miti, più integrati, vorrei dire più inoffensivi. I giovani militanti della destra nazionale di ieri attraversarono gli anni di piombo e altre stagioni cruente, vissero climi di mobilitazione politica, furono sprangati e cacciati, messi a tacere con violenza, alcuni non potevano andare in giro da soli, ci furono anche decine di morti; anche per questo, oltre che per un sentimento politico di non celata continuità simbolica col passato, se non fascista almeno neofascista, erano comunque più esposti al rischio di rispondere alla violenza con la violenza, mostravano più fierezza e avevano un frasario militante più vigoroso, da partito emarginato e ghettizzato. I ragazzi di Gioventù nazionale vivono invece in un’epoca in cui la storia è sparita, la cultura politica si è rarefatta e la politica è l’ombra di se stessa, ridotta solo a leadership e teatrino sui media. E militano nel partito di maggioranza relativa che sta al governo. Quel che affiora a volte in una boutade è solo fiction della storia passata, scampoli ridotti a fumetti, personaggi-cartoons; più gli effetti allergici del politically correct e l’insofferenza verso il soffocante canone woke. Sono ragazzi che possono suscitare giudizi diversi, positivi o negativi, per il loro impegno nonostante l’apatia politica e l’anemia di passioni o per le loro scelte che possono piacere o no; ma certo non suscitano preoccupazione, tantomeno paura. 

C’è più violenza molecolare, allo stato sfuso, nella società, sui social, tra i ragazzi presi nel circuito di droga, velocità, narcisismo e ossessione di procacciarsi soldi per accedere ai loro desideri, piuttosto che nella politica. Gli episodi di cronaca lo confermano tragicamente: nessuno uccide in nome di Mussolini o di Che Guevara mentre ogni giorno qualcuno uccide per questioni di droga, di soldi o perché teme di perdere la sua ragazza.   

Rispetto poi ai giovani militanti di sinistra, o quantomeno alle frange più radicali, i ragazzi di Gioventù nazionale non occupano case, scuole e università, non impediscono agli altri di parlare o di entrare nelle università, non aggrediscono chi non la pensa come loro e non fanno spedizioni punitive anche all’estero per massacrare di botte i loro nemici.

Nessuna persona di senno e in buona fede, dotata di un minimo senso della realtà, può davvero pensare che i ragazzi di Gioventù nazionale siano pericolosi per la libertà e per la democrazia, per l’incolumità altrui e per la tenuta delle istituzioni. 

Per giudicare un movimento politico e i suoi militanti ci sono due criteri oggettivi: le posizioni politiche assunte pubblicamente e i comportamenti pratici. E non mi sembra che su ambo i lati ci sia qualche segnale preoccupante di pericolo; tanto più nel paragone con i loro dirimpettai di sinistra, eco-radicali, ecc. Ciò che si dicono in privato, le gag, le battute off record, non ha alcuna rilevanza politica, pratica e giuridica.

Quando viaggio nei treni locali, sento dialoghi tra ragazzi che si divertono nel cazzeggio e amano i paradossi per violare e beffeggiare divieti e tabù, che ieri riguardavano il sesso, la fede e le tradizioni e oggi riguardano migranti, gender e “nazifascismo”. Non sono militanti di nessun partito, forse neanche simpatizzanti, ma dicono battute che riprese in un consesso pubblico susciterebbero riprovazione, indignazione e condanna. Loro stessi, penso, in un contesto pubblico non le direbbero, e magari non lo pensano veramente; o al più semplificano ed esagerano (fanno appunto la caricatura) quel che realmente pensano.

Se qualcuno s’infiltrasse in un qualunque gruppo militante di sinistra, probabilmente battute come uccidere un fascista non è un reato, auspici per la premier di finire a testa in giù, maledizioni e insulti, voglia di eliminare l’avversario, sarebbero diffusi esattamente come le infelici battute dei ragazzi spiati. Ma anche di quelle battute non c’è da tener conto, finché non vengono espresse in sede pubblica e politica, magari accompagnate da un atteggiamento minaccioso e da comportamenti conseguenti.

Sappiamo pure che quando si bandiscono i concorsi per l’assunzione di mostri qualcuno poi si presenta sempre all’appello, per vanità e fatuità, per “provocare” o per chissà quale meccanismo perverso di domanda e di offerta. Se li invochi di continuo, prima o poi qualcuno arriva.

Quel che è inaccettabile e da rifiutare senza possibilità di mediazione è invece la trappola in cui si vorrebbero far cadere i leader. È una continua, perentoria intimazione a scusarsi, a dichiarare quel che lorsignori suggeriscono, come nei tribunali dell’Inquisizione; e a cacciare, sconfessare, prendere le distanze dai propri iscritti, esponenti, alleati. È una vessazione permanente, da respingere in partenza, senza nemmeno discutere, perché in malafede, finalizzata solo a nuocere, a far perdere consensi, a dividere, a mettere in stato d’accusa e d’inferiorità l’avversario, a imporre il proprio gioco, le proprie regole e il proprio frasario. Il sottinteso di questo giochino al massacro è che la sinistra in questione non è solo avversaria nel campo di gioco, ma è anche arbitro e segnalinee, cronista e giudice sportivo. Ogni volta che chiedono abiure e dichiarazioni bisogna respingerle senza nemmeno entrare nel merito, rispondendo che non hanno nessun titolo per imporre all’avversario il gioco che a te fa comodo; in quanto giocatore non puoi arbitrare la partita, ammonire ed espellere chi vuoi, o fischiare il fuori gioco, falli e decretare punizioni, annullare i gol. Giocate la vostra partita, e contendete sul campo la vittoria agli avversari. 

Per tornare invece alla realtà, ma davvero qualcuno pensa sul serio che quattro battute carpite in privato a quattro ragazzi siano un pericolo per la libertà e la democrazia e coinvolgano le responsabilità del governo? Via, raccontatela ai fessi.

La Verità – 30 giugno 2024

 

Condividi questo articolo

  • Facebook

  • Instagram

  • Canale Youtube

    Canale Youtube
  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

    Leggi la biografia completa

Le foto presenti su questo sito sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione non avranno che da segnalarlo a segreteria.veneziani@gmail.com e si provvederà alla rimozione.

© 2023 - Marcello Veneziani Privacy Policy