Marcinelle, sangue e lavoro

Stavolta lasciate stare ogni traccia di demagogia nel ricordo della tragedia di Marcinelle, dove l’8 agosto del 1956 morirono 262 lavoratori in miniera, di cui la metà italiani, quasi tutti meridionali. Lasciate stare, lo dico memore di precedenti rievocazioni, il paragone tra quei lavoratori morti sul lavoro e gli immigrati clandestini che arrivano a fiumi sulle nostre sponde. Il paragone è totalmente infondato: quei minatori andarono in Belgio richiesti al nostro governo dalle autorità di Bruxelles e furono il frutto di un accordo di dieci anni prima tra i due paesi. Carbone per l’Italia a prezzi agevolati in cambio di 50mila lavoratori per le miniere del Belgio. Uno scambio pattuito tra due paesi europei che necessitavano l’uno di energia e l’altro di braccia-lavoro. Non clandestini ma richiesti, non disoccupati ma lavoratori dal primo giorno in cui arrivarono, non in fuga dal proprio paese ma costretti a lasciarlo per aiutare casa, non manovalanza disperata per la criminalità o business per Ong e centri di accoglienza, ma gente che partiva malvolentieri sapendo di finire in miniera, non per strada. E di sbarcare su richiesta dello Stato-ospite, in un paese che era pur sempre figlio della stessa civiltà, della stessa religione, dello stesso universo di valori. Entrambe sono tragedie, ma di tutt’altro tipo.

La tragedia di Marcinelle riemerse dopo anni di oblio grazie a Mirko Tremaglia che guidava i comitati per gli italiani all’estero e che ne fece un cavallo di battaglia. Fu una tragedia che strinse tutto il nostro popolo attorno a loro; ricordo da bambino un altro funerale di ragazzi che erano andati a lavorare dal mio paese in Belgio ed erano morti sul lavoro. Anni fa vidi uno splendido documentario di Vittorio de Seta nei primi anni cinquanta sui lavoratori nelle miniere sarde e siciliane. Sembra preistoria, ma quei lavoratori umili, ignoranti, invecchiati precocemente, ti sembrano giganti rispetto a noi per i sacrifici immani che facevano per portare il pane a casa e mantenere le loro numerose famiglie, accontentandosi di poco. Ricordo un film dedicato ai minatori in Cile, The 33, una storia vera, a lieto fine, di trentatré minatori che furono salvati dopo un lungo calvario nelle viscere della terra che durò due mesi. Storie di umanità, di pietà, di dedizione. Di quelle che rendono drammatico e non retorico l’articolo uno della costituzione, la repubblica fondata sul lavoro. E che rendono tangibili la solidarietà, la comunità, il mutuo soccorso. 

Stavolta non sporcate quelle storie e quelle memorie con le prediche ideologiche e i calcoli politici, travestiti da moralismo. E magari sposate la proposta del presidente del Cnel, Renato Brunetta, di ricordare degnamente la tragedia di Marcinelle dove l’Europa si fece sul serio, nel sangue e nel lavoro.  

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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