Ma quali sono i valori condivisi della repubblica?

Passato il 25 aprile, con la sua onda di veleni, odio e rancori, resta nei fondali della comunità italiana un tema di fondo: quali sono i fondamenti irrinunciabili della nostra società, e dunque della nostra democrazia? Il partito unico del 25 aprile non ha dubbi: è l’antifascismo, solo l’antifascismo. A cui si sottomettono, con viltà e ipocrisia in tanti, anche governativi. Il corollario è che la nostra democrazia è nata dalla Resistenza, la nostra Costituzione è antifascista, dunque non si può governare il nostro Paese o rappresentarlo senza un preciso, inequivocabile atto di fede nei confronti della religione antifascista. I pochi che si oppongono a questo imperativo categorico ricordano invece i crimini commessi nel nome dell’antifascismo, il triangolo rosso e le stragi a guerra finita, sottolineano che almeno la metà dei partigiani combattevano non per la libertà ma per un’altra dittatura, quella comunista. Perché poi dirsi solo antifascisti e non anche anticomunisti, anzi contrari a ogni dittatura? E si sottolinea quanta intolleranza, quante censure, quante discriminazioni sono state compiute nel nome dell’antifascismo, mentre il fascismo era morto e sepolto da un pezzo. Argomenti validi, senza dubbio, ma non toccano il fondamento della questione: l’Italia può definirsi solo a partire dall’antifascismo, la sua identità, i suoi valori necessari e condivisi, si risolvono nell’antifascismo? Abbiamo solo quel valore oggettivo, supremo e indiscutibile su cui fondare tutto il resto?

L’Italia è una civiltà antica o comunque si fonda su una civiltà. Una civiltà millenaria che solo a voler limitare il nostro orizzonte storico alla nascita di Roma, ha profonde radici romane e cristiane, lo Stato romano, il diritto romano e la civitas christiana e cattolica. Si può essere italiani e disconoscere, negare o disprezzare quelle radici? In tanti lo fanno e nessuno li accusa di negare i fondamenti della nostra convivenza civile. La libertà dei moderni ha riconosciuto la separazione tra la sfera religiosa e la sfera laica, si può essere non credenti, possiamo non dirci cristiani, anzi possiamo attribuire al cristianesimo tutte le nefandezze della storia, e ciò nonostante – nel nome della libertà – possiamo dirci cittadini italiani. Perché questa laicità, ammessa per una religione che permea da duemila anni il nostro popolo, non deve valere in tema di antifascismo? Non essere antifascisti, si replica, vuol dire non accettare la libertà e la democrazia; ma anche non essere cristiani vuol dire non riconoscere i suoi principi e la sua pratica di carità ed amore, di valori morali e rispetto della vita. Se è possibile osservare questi valori pur senza essere o professarsi cristiani, perché dovrebbe essere impossibile rispettare la libertà e la democrazia senza essere o professarsi antifascisti?  

Ma non solo. L’Italia unita è nata dal Risorgimento, ma quanti italiani non si riconoscono nel Risorgimento, lo criticano, rifiutano l’unità d’Italia, e talvolta l’idea stessa di nazione? Ieri e ancora oggi, tanti socialisti e comunisti, molti cattolici, tanti antiunitari, filo-borbonici, filo-asburgici, leghisti padani. Perché è possibile negare l’idea di nazione, rifiutare l’amor patrio, definirsi cittadini del mondo, in spregio all’Unità e alla nostra Costituzione, e non dev’essere invece possibile non dichiararsi antifascisti?

E non basta. Dalla seconda guerra mondiale in poi, l’Italia si riconosce nel mondo occidentale, ha un patto atlantico (che personalmente critico), con cui si è contrapposta per decenni al blocco sovietico, alla dittatura russa. Perché è stato possibile a un grande partito come il Pci, essere apertamente a favore del comunismo sovietico e dunque schierato contro la nostra appartenenza all’alleanza occidentale con il rivale totalitario? Abbiamo avuto presidenti, ministri e perfino un presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, che all’epoca dell’invasione sovietica di un paese europeo, l’Ungheria, si schierò dalla parte dei carri armati comunisti e non della libertà dell’indipendenza delle nazioni e dell’Europa. Ed è stato eletto al Quirinale senza problemi. Perché non dev’essere possibile nutrire un diverso giudizio sull’antifascismo?

Potrei anche aggiungere che la nostra civiltà cristiana, i cui valori si rispecchiano anche nella Costituzione, difende la famiglia naturale e il diritto alla vita: perché dev’essere possibile negarsi a quei valori, sanciti nella nostra tradizione e nella nostra Costituzione, e dev’essere obbligatorio dirsi antifascisti? Il pensiero cristiano, come ha ricordato Papa Francesco, non un Papa reazionario, reputa l’aborto un delitto e non un diritto: perché è possibile invece sostenere il contrario, arrivare anzi a considerare un delitto l’opinione opposta al diritto d’aborto, e non dev’essere possibile il diritto di nutrire una diversa opinione e coltivare un’onesta revisione storica sul tema dell’antifascismo?

Come se ne esce da questo groviglio di contraddizioni e dalla pretesa impossibile di ritrovare valori assoluti e non negoziabili? Riconoscendo libertà d’opinione in tutti questi terreni controversi, rifiutando ogni assoluto. E colpendo invece come reati gli atti di violenza, di intolleranza, gli abusi e le prevaricazioni. Puoi avere un giudizio diverso in tema di antifascismo, come sulla fede cristiana, sul diritto alla vita, sull’unità nazionale e sull’amor patrio, sull’appartenenza occidentale; ma non puoi violare le leggi, i codici, nuocere ad altri. Quel che conta non sono le parole ma i fatti, i comportamenti reali.

Sarebbe la soluzione più semplice. Perché non succede? Mi rifugio nell’antica saggezza di Fedro e delle sue favole. Ricorderete la più famosa, sul lupo e l’agnello. Si stavano abbeverando a una stessa fonte, superior stabat lupus, in alto stava il lupo, più in basso c’era l’agnello. Il lupo cercava un pretesto per aggredirlo e disse che gli stava sporcando l’acqua; ma l’agnello rispose che non era possibile, perché il lupo era più in alto e l’acqua defluiva da lui. Allora il lupo s’inventò che sei mesi prima l’agnello aveva detto male di lui ma l’agnello replicò: sei mesi fa non ero ancora nato! Allora il lupo, spazientito, disse Hercle pater tuus, perbacco, allora è stato tuo padre, e lo massacrò. L’antifascismo di cui oggi si abusa è come quel lupo, che sta più in alto e pretende di accusare chi sta in basso di causargli danni; e quando l’evidenza è contro di lui, si rifugia nel passato e accusa il nemico di essere erede di un padre infame, per poterlo poi accoppare. Nel nome di quella pretesa superiorità l’antifascista rinnega la libertà e la democrazia che dice di voler tutelare. Superior stabat lupus… 

La Verità – 26 aprile 2024

      

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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