L’entusiasmo di Musk nel futuro

Beato Elon Musk. Non lo dico perché è il più ricco del pianeta ma perché dispone di una ricchezza che dovremmo invidiargli: coltiva l’attesa gioiosa del futuro. In un Occidente vecchio e stanco, arido di figli e pauroso del domani, lui ha davvero l’intrepida impazienza di abitare nel futuro, ne tesse le lodi e lo ingravida davvero, in tutti i sensi. Per cominciare ha quattordici figli, e nessuno può competere con la sua prolifica paternità. Anche se ben dieci li ha avuti con l’inseminazione artificiale. Penso che lui sia in competizione con l’i-phone che sono arrivati a 16, ne nasce uno all’anno mentre lui ne ha 14. Dei grandi del passato credo che solo Priamo, il re di Troia, lo batta con i suoi 50 figli. Io conobbi un croupier nero a Saint Marteen che aveva 48 figli con madri tutte diverse; ma era un benemerito, perché gli uomini dell’isola erano partiti per necessità di vita e lui ebbe il compito di ripopolare la sua comunità.
Il figlio che porta sulle spalle lo ha chiamato X, come i suoi tweet. X come l’incognita, il numero romano e la schedina totocalcio. Che magnifica brevità il suo nome, anche questo un record assoluto. Non ci sono infatti umani con un nome così breve, Musk ha battuto in brevità perfino il cinese Xi JinPing (ma il nome esteso del bambino è X Æ A-Xii, più complicato del codice fiscale, frutto di tecno-esoterismo).
Ma non sono solo i figli messi al mondo a confermare la sua fiducia nel futuro. L’ho sentito e l’ho visto in video, Musk, con che entusiasmo parlava della conquista di Marte e dell’attesa delle prossime tappe della rivoluzione neuro-tecnologica. Di quella fiducia nell’immortalità umana e della sconfitta di ogni malattia e ogni vecchiaia ho conosciuto in Italia solo rari campioni. Uno, per esempio, era Marino Golinelli, imprenditore bolognese nel settore farmaceutico, che a cento anni fondava opifici e progetti per disegnare gli scenari del futuro dei prossimi cinquant’anni. Un altro era Berlusconi che annunciava di voler sconfiggere il cancro e prometteva di allungare l’età media a centotrent’anni. Alla fine ambedue hanno ceduto ai limiti mortali, ma Elon è più giovane, dispone di più mezzi dei pur facoltosi campioni nostrani, ed è più proiettato nella tecnologia avveniristica. Ha poi l’audacia temeraria e folle degli esploratori.
Fa impressione sentirlo parlare, vedere la sua mimica, i suoi gesti, il suo sorriso trionfale. Magnetico, cinetico, robotico. Lui crede davvero a quel che dice Trump, che l’età dell’oro non è miticamente alle spalle ma è davanti. Quel mix di allegria dei pionieri, titanismo dei magnati e volontà di potenza, anzi di onnipotenza, dei tecnonauti alla ricerca del Vello d’oro. L’ottimismo operativo, che è poi la vera ideologia americana, secolarizzazione del millenarismo escatologico, si fa risorsa psicologica per sfidare impavidi ed euforici il futuro e diventa in lui messaggio vitale e proposta transumana e metapolitica (intanto gli idioti nostrani lo accusano di nazismo…).
Può essere quella la risposta alla paura, l’angoscia, la depressione che corrodono l’Occidente e lo dispongono a un lungo declino, che si protrae ormai da più di un secolo? Può essere quello il farmaco per combattere la morte, la vecchiaia, l’impotenza, quell’euforia un po’ allucinata, magari senza ricorrere a ketamina e sostanze artificiali? Ammetto che la forza di gravità, la saggezza antica, il realismo dell’esperienza e lo spirito di decadenza ci portano a giudicare quella spavalda gara con la natura e il tempo, con i limiti biologici e umani, come follia temeraria, leggerezza e hybris. Già, noi siamo la vecchia Europa, siamo figli di una civiltà antica e ormai decrepita, dove la denatalità è l’annuncio inesorabile di mortalità; non riusciamo a correre come lui, a prenotarci per Marte ma solo per la visita medica; non riusciamo a progettare una rinascita oltre i nostri limiti anagrafici e biologici. Abbiamo non solo i piedi per terra, come è saggio, ma subiamo anche l’attrazione per la terra, il suo richiamo fatale e finale. Però è anche vero che agli inizi del secolo scorso c’era anche da noi quel gagliardo sguardo verso il futuro, il sol dell’avvenire. Ricordate l’euforia per la modernità e per i nuovi mezzi tecnici del primo novecento, l’impeto futurista, la giovinezza come prototipo e stile di vita, le rivoluzioni messianiche, l’attesa di un uomo nuovo.
E rovistando nei cassetti della nostra cultura, c’era pure un signore coi baffi, vissuto nell’ottocento, che faceva annunci simili: l’uomo è qualcosa che va superato, diceva, abitiamo la terra non dei nostri padri ma dei nostri figli, oltrepassiamo l’uomo e i suoi mondi, proiettiamoci nell’avvenire. Si chiamava Friedrich Nietzsche, non aveva figli, però, amava la musica e veniva dal romanticismo, dalla passione per gli antichi greci, inclusi gli dei, sognava Apollo e si eccitava con Dioniso, e con lui danzava, immaginando di generare dal caos le stelle e l’oltreuomo. Finì pazzo, ma è un’altra storia. Sfidammo anche noi le stelle, agli albori del ‘900, ci burlammo del plenilunio e del passatismo, esaltammo le macchine, l’acciaio e la velocità, coltivammo quel sogno di grandi imprese future che avrebbe generato un mondo nuovo. Ora viviamo nel mezzo, tra Alexa e la cardioaspirina, tra i ricordi e le paure del futuro, spaventati da quel che potrà avvenire, consolandoci perfino che saremo risparmiati dal post-umano perché ce ne andremo via prima, e non su Marte ma all’altro mondo.
Musk è un genio inquietante, e non so se avrà ragione lui o il nostro vecchio istinto. Lui che si presenta alla Casa Bianca con suo figlio X sulle spalle che gli infila le dita nelle orecchie mentre sta con Trump; noi, invece, che veniamo dal mondo antico, abbiamo virtualmente sulle spalle, come il mitico Enea in fuga da Troia in fiamme, il nostro vecchio padre Anchise, che stringe i penati tra le sue mani, le immagini degli avi protettori della casa, anche se al nostro fianco confidiamo di avere il figlio Ascanio o chi per lui. Ovvero, fuor di metafora, noi siamo ancora legati al mondo della tradizione, ci sentiamo eredi, siamo ancorati alla terra dei nostri padri, e non riusciamo ancora a vedere se e dove troveremo la terra dei nostri figli. Ma in fondo, ammiriamo la sua voglia di futuro, la sua fiducia, la sua intraprendenza.
Lasciamolo dire a Nietzsche e alla sua Gaya scienza: “Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi (…) Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste più terra alcuna!”
Volenti o nolenti, siamo tutti imbarcati nella navicella del futuro, chi con grandi aspettative, chi con apprensione; ma lui, Musk, è a prua, a scrutare impaziente la terra incognita nell’oscuro avvenire, noi invece, siamo a poppa, a vedere la terra che lasciamo alle nostre spalle, e man mano che si perde allo sguardo cresce la nostra nostalgia. Intanto la nave s’inoltra nell’ignoto e nel buio. Altre aurore ci aspettano, vi aspettano.
La Verità – 19 marzo 2025