L’abominevole fascismo è morto ma vive ancora

Arrendiamoci. Dopo aver sostenuto per anni che il fascismo è morto e sepolto e nessun uomo di senno può pensare di riproporlo oggi, dobbiamo prendere atto che invece “il fascismo non è mai morto” come recita il titolo dell’ultimo pamphlet di Luciano Canfora, storico antichista e comunista non pentito. Saremmo negazionisti se ci ostinassimo a non guardarci intorno: in libreria il tema più presente in libri, memorie, pamphlet è il fascismo, in tutte le sue varianti – nazifascismo, razzi-fascismo, neofascismo. Lo stesso vale al cinema e in tv, dove le fiction sul tema nazifascista imperversano; anzi dire film di memoria storica, significa dire film sul nazifascismo. Lo stesso vale per i quotidiani e i dibattiti pubblici. Perfino le foibe, in vista della giornata del ricordo, sono ormai colpa del nazifascismo. Un tema così vivo e sovrano che pure il governo di destra postmissina è costretto a condannare di continuo il fascismo, accetta perfino la definizione di nazifascismo, impropria per molti storici, e identifica ormai fascismo, nazismo e razzismo. Mussolini grandeggia, Stalin, Lenin, Mao, Marx spariscono. I loro anniversari passano inosservati. Il comunismo è morto, il fascismo è vivo nei secoli e nel mondo, malefico ma gigantesco, epocale e globale, ineliminabile… 
Cosa si può opporre a questa marea? Che è un fantasma, morto ottant’anni fa, che si affaccia dl vivo solo nelle cerimonie funebri, che non potrebbe mai rinascere? Ma no, se ne parlano tutti, se nazisti sono pure quelli di Hamas e i fanatici islamisti, se fascista è Putin, Orbàn e pure Trump, perché insistere sulla sua estinzione? E se si sono ormai accodati anche coloro che si opponevano a questa fascistizzazione universale, cosa possiamo fare noi poveri, solitari bastian contrari?
Eppure gli storici ci hanno insegnato, e non solo i Renzo De Felice ma anche storici ebrei come George Mosse e Zeev Sternhell, che il termine nazifascismo è una forzatura storica, come l’identificazione tra fascismo e razzismo antisemita. Per almeno quattro ragioni: 1) l’assenza di ogni riferimento razziale nel fascismo dalle origini al fascismo che si fa regime, nei suoi testi e documenti. Solo vaghi accenni alla stirpe, senza alcuna connotazione antisemita e bio-razzista; 2) la presenza di molti ebrei tra i nazionalisti e poi i fascisti nella Marcia su Roma e poi nei ranghi fascisti; 3) il primo riconoscimento giuridico della comunità israelitica con una serie di garanzie, si ebbe nel concordato con lo Stato fascista nel 1930, molto apprezzato dagli stessi ebrei; 4) la diffidenza di Mussolini e del fascismo nei confronti di Hitler e del razzismo, almeno fino al 1935. Poi le sanzioni, in seguito all’impresa coloniale in Etiopia e il conseguente isolamento internazionale spingono il fascismo nelle braccia della Germania. Fino all’infame delirio delle leggi razziali. Con tante contraddizioni, salvacondotti, salvataggi, ma restò una pagina infame. 
Il suprematismo bianco, occidentale e colonialista attraversò il fascismo, e lo permeò alla fine degli anni trenta, ma fu comune a tanta storia euro-occidentale, a partire dagli inglesi. E l’antiebraismo fu coltivato in ambito socialista e marxista nel nome dell’anticapitalismo, ritenendo gli ebrei ricchi e sfruttatori. Canfora ricorda che un germe di razzismo nacque in Italia con gli studi etnico-positivistici sulle popolazioni, la fisiognomica, ecc. Ma quasi tutti quegli studiosi erano progressisti e militavano nella sinistra. Nei confronti degli ebrei il cattolicesimo nei secoli ebbe un ruolo ambiguo: da un verso ghettizzò gli ebrei, li discriminò, pur commerciando con loro; ma dall’altro verso la carità cristiana riparò da ogni fanatismo persecutorio e arginò ogni deriva biologico-razziale (anche al tempo di Papa Pacelli, accusato ingiustamente di connivenza coi nazisti e la Shoah).
Se vogliamo fondare su basi serie una critica del fascismo, della sua “ideologia” e della sua matrice storico-politica, dobbiamo uscire dall’antisemitismo e puntare sul suo peccato originale: la volontà di potenza. E’ nella volontà di potenza il germe distruttivo e autodistruttivo del fascismo, il seme della violenza, del dispotismo e della pulsione bellicosa (il fascismo nacque dalla guerra e morì in guerra). La volontà di dominio e di rivalsa avvelenò l’amor patrio, l’identità nazionale, la comunità, la civiltà e la tradizione. La volontà di potenza è l’ombra di Nietzsche che si allunga sul Novecento: Nietzsche non fu solo quello, il suo pensiero apre ben altri orizzonti, ma la sua ombra funesta che si allunga sul piano storico-politico è la volontà di potenza del superuomo. 
Ma a ben vedere, il culto della volontà di potenza non è originale del fascismo, se non nel suo apparato estetico e retorico; ma è quel che collega il fascismo al suprematismo occidentale. Anche Canfora ammette che “è nato e si è diffuso ben prima che il fascismo prendesse forma, e fece le sue prime esperienze nel mondo coloniale”. Canfora è nel solco della vecchia tesi comunista e luckacsiana del fascismo come esito e altoparlante del capitalismo e del colonialismo imperialista.
Il fascismo non fu un regime totalitario se non nelle aspirazioni retoriche o teoriche; per essere totalitario, nel senso in cui lo descrisse Hannah Arendt (ebrea ma separò il fascismo dai totalitarismi compiuti) mancò non solo l’uso del terrore, il gulag o il lager, la deportazione e l’eliminazione di massa dei suoi avversari (che fu invece praticata sistematicamente dal comunismo e dal nazismo con la Shoah); ma anche il monopolio assoluto del potere: il fascismo venne a patti con la monarchia, la Chiesa e il capitale, lasciò indenni la magistratura e altri settori militari e civili dell’Italia prefascista. Una ventina di condanne a morte in vent’anni non sono il segno di un regime totalitario. Trucidarono più antifascisti italiani nell’URSS dove si erano rifugiati che nell’Italia fascista… In realtà il fascismo fu un regime autoritario di massa (Togliatti lo definì regime reazionario di massa). 
Ma un’analisi oggi è impossibile, si deve solo sottoscrivere l’anatema; una ricostruzione storica delle opere e delle realizzazioni del regime, del grande e duraturo consenso popolare, internazionale e culturale che riscosse, è oggi interdetta. E la maledizione sul fascismo viene poi estesa all’amor patrio, al senso della tradizione, della natura, dell’autorità e della civiltà. 
Non resta che aderire all’Anpi e buonanotte. 

P.S. Ma allora perché insisti, direte voi, se sai che è inutile, se ti danneggia e ti fai solo nemici, ora pure a destra, e se reputi il fascismo sepolto in via definitiva? Lo faccio a onor del vero, non riesco a tacere quel che mi pare evidente e non riesco a pensare senza distinguere. Scusate l’insistenza, è solo per colpa di quello stupido, fottuto amor di verità…

La Verità – 6 febbraio 2024

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  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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