La speranza nell’anno nuovo
In cosa dobbiamo sperare per l’anno che verrà? Da tempo non aspettiamo rivoluzioni, palingenesi e radicali cambiamenti e da tempo non coltiviamo nemmeno solide speranze di continuità, la fiducia che tutto resti come prima in modo rassicurante. È come se fossero sparite contemporaneamente le speranze dei progressisti nel cambiamento e quelle dei conservatori nella continuità; le speranze dei nostalgici e degli innovatori.
L’unica novità che si annuncia è in realtà un ritorno: Donald Trump che torna alla Casa Bianca in un mondo lacerato da due conflitti pericolosi. E con lui quella che viene definita nuova destra o tecno-destra, identificata nella figura di Elon Musk; prospettiva fascinosa e inquietante, viste le premesse e il personaggio. Per il resto il mondo prosegue con i protagonisti degli anni precedenti, tra un’Europa bollita e un Mondo in ebollizione.
Certo, il 2024 che cede il passo al 2025 è solo un numero che cambia, e nulla più. Passaggio apparente, forse simbolico ma come i numeri al lotto, niente di nuovo e di sostanziale, se non nella insignificante contabilità degli anni. Gli anni non sono nulla nella realtà della vita e dei giorni, servono solo a dare una targa di circolazione agli eventi storici, una volta accaduti; ma non c’è alcun legame a priori tra un avvenimento e la data a cui verrà poi associato. È solo un codice d’identificazione.
Il fatto vero è che abbiamo smesso di sperare nei cambiamenti, anche se non abbiamo smesso di temere i cambiamenti; tutto quel che di nuovo accade sembra essere accidentale, incidentale, casuale e poco o per nulla dipendente dalla volontà degli uomini, soprattutto degli uomini di buona volontà. Piccoli errori possono sortire grandi conseguenze, pericoli non considerati o sottovalutati possono rivelarsi importanti ed esiziali. La sensazione è quella di camminare sul filo dell’acrobata, sempre sul precipizio, e l’unica cosa da fare non è liberamente programmare l’avvenire o reinventarselo creativamente, ma seguire scrupolosamente il cammino, non sbilanciarsi, percorrere quel filo fino alla fine, senza mai distrarsi o deviare. Se questa è la percezione, immaginiamo il futuro non nel segno della libertà ma della necessità e per certi versi della coazione a ripetere e della costrizione a restare sulla linea. Da qui il sottile filo dell’angoscia che ci accompagna come il filo dell’acrobata nel corso dei giorni.
Ma allora in cosa sperare? Nell’imprevedibile ricchezza della vita, della realtà e della storia. Alla fine la libertà coincide con l’ignoto dove abitano sia le paure che le speranze. Anzi, a essere più precisi e articolati, ci sono tre fattori che rimettono in gioco la routine, le rigidità e il determinismo storico e rilanciano il gusto del futuro.
Il primo è il risveglio della realtà, la natura del mondo e la natura umana, e tutto l’universo di impulsi, sentimenti, leggi naturali, che insorgono contro la finzione, la società prefabbricata, la manipolazione della realtà, i mondi virtuali e riprendono i loro “diritti”. Viviamo come in una bolla illusoria, in una finzione tecnologica, finanziaria, ideologica, che distorce la verità delle cose, la realtà del mondo, che pretende di sostituire la natura con l’artificio. Confidiamo che la realtà, come spesso accade, si riprenda i suoi spazi, la sua vita e i suoi territori.
All’insorgenza della realtà associamo un altro fattore di speranza, anche se – come dicevamo – può essere pure foriero di timori: la speranza nell’imprevedibilità della storia. Non c’è alcun cammino prefissato alla storia, niente è già scritto in partenza, non possiamo programmare la storia come uno strumento tecnologico, è ricca di variabili, di forze motrici e di fantasie intrecciate, e di fattori che incrociandosi producono effetti diversi rispetto a quelli attesi e previsti. È per certi versi quella che i pensatori chiamano eterogenesi dei fini, il mutamento se non il rovesciamento delle premesse, delle intenzioni originarie, nelle conseguenze, negli effetti reali, per il combinarsi di più elementi non considerati o che producono esiti diversi semplicemente mescolandosi chimicamente con altri.
Nel mondo che si consegna agli automatismi e ai determinismi, cioè alle nuove forme tecno-scientifiche di fatalismo, l’imprevedibile irrompe come una forza liberatrice, innovatrice, a volte rivoluzionaria, se non reazionaria.
Ma l’insorgenza della realtà e dell’ordine naturale come l’imprevedibilità della storia e dei suoi fini, evocano anche senza dirlo un fattore totalmente imponderabile e misterioso: la mano invisibile, di cui parlavano perfino gli economisti a proposito del mercato. Si, la terza speranza che nutriamo ha un sapore antico, misterioso, ineffabile: confidiamo negli dei. E usiamo questa accezione mitologica, letteraria, per evocare il misterioso intervento di forze superiori o di energie spirituali: i credenti la chiameranno, come Vico, mano della provvidenza, i non credenti la chiameranno, come Machiavelli, Fortuna o buona sorte; ma alla fine, anche se non lo diciamo apertamente, anche se non ci affidiamo razionalmente e non ci predisponiamo religiosamente, tutti più o meno confidiamo nella benevolenza o nella clemenza degli dei.
Del resto, se non confidassimo segretamente nella realtà, nell’imprevedibilità della storia e nella mano degli dei, saremmo già totalmente in preda dalla disperazione. Quei tre fattori hanno una ricaduta attiva su di noi; danno più forza e determinazione alla nostra azione, perché infondono la fiducia, forse illusoria, che sia la forza della realtà, l’evidenza naturale delle cose, la giustizia del mondo, la potenza imprevedibile della storia, la benevolenza degli dei a spingerci in quella direzione. Aiutati che il ciel t’aiuta, si diceva una volta, e noi traduciamo nella lingua corrente: non arrendiamoci prima di combattere, facciamo fino in fondo la nostra parte, concorriamo – ciascuno secondo le sue possibilità e le sue capacità – a rendere corposa la speranza, sapendo che troverà inattese alleanze. Traduciamo la speranza in fiducia, nonostante tutto. Lasciamoci accompagnare dalla sfiducia fino alle penultime cose, per ritrovare la fiducia nelle cose ultime.
A chi dice che sono solo chiacchiere e fuochi fatui, rispondiamo che se è per questo, quel che ci aspettiamo dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale sono mondi virtuali se non fittizi; e pure il passaggio dal 2024 al 2025 è solo chiacchiera e fuoco fatuo, numeri di una tombola insensata. Se tutto è solo un gioco dell’oca, lasciate che sia sacro quel gioco. La fiducia negli dei è il seme della loro rinascita. D’altra parte, davanti a un neonato, sia pure un anno nuovo, non si può che gioire e sperare.
La Verità – 31 dicembre 2024