La fine del mondo
Ho sognato che il Papa andava dal dentista a togliersi il dente del giudizio universale. È difficile pensare a un comune molare o peggio a un animalesco canino per il Sommo Pontefice e la sua santa corona dentale. Così mentre figuravo l’odontoiatria apostolica di Sua Santità, ho avuto un sogno davvero balzano: il Papa indiceva a Roma la simulazione del giudizio universale? Come si fa per il terrorismo, giacché prevenire è meglio che curare, il Papa un mattino annuncia solennemente dalla finestra di San Pietro: “Venerdì prossimo, prove generali di giudizio universale. I peccatori sono invitati a presentarsi a San Pietro per il test d’ingresso nel paradiso o nei piani inferiori”. La fine del mondo. Code pazzesche ma stranamente ordinate non per timore del vigile ma per timor di Dio, cercando almeno di non peccare in extremis. La gente che si accalca ma non spinge, non può disertare ma non ha fretta di passare l’esame finestra di San Pietro. Sarà miglior vita ma a quel punto cresce un attaccamento pazzesco a questo straccetto di vita, con tutte le sue infelicità e i suoi fallimenti. Meglio il mutuo, la moglie e il padrone che vedersi improvvisamente defunti. L’unica consolazione è mal comune mezzo gaudio: se tutti muoiono non val la pena restare, non lasciamo rimpianti, né vedove scaltre e orfani sconsolati. Non ci sono problemi di eredità, perfino il notaio o il venditore di casse funebri muore con noi, nessuno gode del nostro commiato. Bara per tutti non bara nessuno, slogan pirandelliano e nietzscheano per l’umanità in via di liquidazione.
Mi piacerebbe vedere le facce, il giorno della simulazione; ho l’impressione che la prova generale sconvolgerebbe gli atei, i credenti e la maggioranza dei nonsoniente. Perché agli atei metterebbe qualche dubbio atroce, ma anche ai credenti e crescerebbe la strizza agli evasori religiosi. Comincerebbero a dubitare tutti, perfino Berlusconi. E nessun grillino si alzerebbe a chiedere le primarie per decidere chi dovrà essere Dio la prossima volta che torneremo sulla terra. Nessun laico si solleverebbe a chiedere l’alternanza di Dio tra un laico e un credente. Quelli di sinistra magari accennerebbero a un tentativo di delegittimazione di San Pietro, affiderebbero a Veltroni la Notte eterna, pretenderebbero di giudicare loro i beati e i dannati, sinonimo di sovranisti.
Non so quali sarebbero i criteri per decidere i sommersi e i salvati, ma credo che il rigore condurrebbe san Pietro a chiudere il paradiso per mancanza di utenti, affollando le altre due pensioni. Ci sarebbe perciò una certa indulgenza, voglio sperare. Ma lasciamo stare le classifiche, il paradiso non è l’auditel. Perché la vita, grazie a Dio, non è la televisione; Dio potrà somigliare a Scalfari o quando s’inalbera, a Mattarella, ma non è di parte e soprattutto non si occupa di media, lasciati a un suo dipendente licenziato, Satana, di cui talvolta sono sue evacuazioni (il cosiddetto sterco del demonio).
Alla fine, la simulazione del giudizio universale ci renderebbe migliori. Tutti penserebbero non dico ad un Dio o ad un Aldilà, ma si chiederebbero qualcosa di vero intorno alla vita; si domanderebbero delle cose che contano davvero nella vita e per la morte, svanirebbero le apprensioni per i soldi, il sesso e la proprietà, o perlomeno assumerebbero un ruolo assai più relativo. Ecco il relativismo che ci piace, sussurrerebbe vestito da guardia svizzera Papa Ratzinger alla destra del Titolare.
Immaginare la fine di tutto è il modo migliore per capire con più saggezza e meno apprensione il mondo, con più stupore e meno attaccamento, perfino con più poesia e meno accanimento. Un test del genere sarebbe approvato anche da laici d’antico pelo come Seneca ed Epitteto, Cicerone e Marcaurelio; perfino Epicuro, nonostante la fama di gaudente che gli hanno ingiustamente affibbiato, sarebbe d’accordo.
Capiremmo che al giudizio universale non si va col proporzionale, ma con l’uninominale secca, ma secca davvero. E non si va con le coalizioni, le liste bloccate, i posti riservati, il partito che ti porta, ma con la nostra faccia, la nostra anima, la nostra vita vissuta, nudi come vermi. Ci assumeremmo finalmente la responsabilità di quel che facciamo, nunc et semper. La verità, vi prego, sulla vita.
Ecco, se solo servisse a questo la Chiesa e la fede, a indire una simulazione globale di giudizio universale, avrebbe già assolto magnificamente al suo magistero: ristabilire una sana gerarchia di valori, una scala di priorità più umane, ci farebbe distinguere il futile dall’essenziale, il passeggero dal permanente, e perfino il buono dal cattivo. Certo, ci sarebbe il rischio che una mobilitazione del genere susciti l’attenzione del terrorismo islamico con l’intento di trasformare la fiction metafisica in crudo neorealismo. Ma il gioco vale la candela. Proviamo, per un giorno la fede su strada: non so se troveremo Dio ma diventeremo un poco migliori e più veri. E non dite che è solo un sogno.
MV, 29 agosto 2019