La Capitale impossibile
È impossibile vivere a Roma, dicono i romani. Impossibile muoversi, trovare un parcheggio o un taxi. Impossibile sfuggire agli ingorghi del traffico tra le deviazioni di percorso a causa dei lavori per la metro C e in vista del Giubileo. Impossibile dormire in molte zone di Roma, infestate dalla più sguaiata movida. Impossibile trovare un cestino per l’immondizia che deborda da tutte le parti (il termovalorizzatore è solo una leggenda romana). Impossibile andare a teatro a Roma, dall’Eliseo al Valle ai tanti piccoli teatri sono tutti chiusi, o quasi. Impossibile vendere o comprare casa in centro storico, perché su troppe abitazioni si trascinano da decenni irregolarità che non vengono né sanate né pagate (sarebbe un gran giovamento per le casse esauste della Capitale). E restano così invendibili, in un limbo assurdo. Impossibile camminare per alcune vie del centro che sono diventate un tavolo infinito per infinite mangerie, no stop, da mattino a notte. L’incremento di turisti, soprattutto americani, è una benedizione per l’economia romanesca ma una maledizione per gli abitanti. Tutto peggiora anche grazie ai turisti: servizi, prezzi, tempi, luoghi. Per non dire dei turisti vandali all’assalto di fontane e monumenti.
Anche grazie ai tanti turisti il taxi a Roma è ormai un’altra leggenda metropolitana. Inafferrabili, inesistenti, introvabili. Ho provato in giorni ordinari a cercare un taxi: ai posteggi sono scomparsi, in stazione Termini ci sono file pazzesche anche quando ci sono i taxi; al telefono non rispondono o devi sentirti la musichetta per un sacco di tempo; se cerchi di fermarli al volo ti evitano, anche se sono liberi. Cercano magari d’imbarcare turisti stranieri, per spostamenti più remunerativi, evitano quelli del posto che sanno le strade e di solito non vanno lontano. Se proponi di rilasciare nuove licenze, visto che sono introvabili e inafferrabili, ti linciano; se nomini Uber, Ncc o altri servizi paralleli finisci sul rogo, come se citassi sette eretiche. E naturalmente, i tempi di percorrenza e i tempi di attesa prolungati per traffico, deviazioni e lavoro, hanno reso assai più costose le corse di taxi.
Sui mezzi pubblici stendiamo un velo pietoso; quello che in centro funzionava meglio, il trenino dell’8, è fuori servizio da tempo. La metropolitana chiude in ore indecenti, è un disservizio quotidiano che costringe la gente a prendere auto private, inguaiando il traffico di cui si narra in questo numero di Panorama. Da qui il proliferare dei pericolosi monopattini che sfrecciano pure sui marciapiedi.
Sono in tanti che dicono di voler lasciare la Capitale. A dir la verità lamentele e propositi di questo tipo li ho sentiti anche a Milano e a Napoli; ma a Roma è peggio. Vivono bene a Roma solo cinghiali, topi e gabbiani. Non essendo uno di loro, vivo sempre di meno a Roma, ho calcolato che sto meno di un quarto di giorni all’anno; ma bastano per maledirla, fare cattivo sangue e giurare di volersene andare via per sempre. La gente è stupita come per un miracolo rovesciato: era convinzione comune di aver toccato il punto più basso con Virginia Raggi sindaco. E invece con Roberto Gualtieri è stato possibile perfino peggiorare. Gualtieri, già ministro delle finanze nel governo demogrillino, suonava la chitarra e lavorava all’istituto Gramsci. Era persona seria. Ora non si capisce cosa stia facendo al Campidoglio, alleva le oche? Non si avverte la sua presenza in città, la Raggi era inefficiente ma purtroppo presente, Gualtieri è pure assente, latitante, inesistente come il suo termovalorizzatore. Se ogni tanto lo vedi in qualche foto sui giornali ti chiedi questo chi è, che ci fa quell’imbucato? Ma un sindaco può davvero fare qualcosa per Roma, oltre usare il napalm o l’atomica? I sindaci a Roma sono fuochi fatui, video-mapping, ombre ornamentali, senza incidenza, proiettate sui muri.
Un tempo c’erano in centro per raccogliere i rifiuti austere armature di ghisa che sembravano corazze reduci dalle guerre puniche, ma reggevano all’urto della sporcizia e non mostravano i loro contenuti ributtanti. Poi arrivò il timore attentati, il covid e non so che altra piaga biblica e li sostituirono con una leggiadra busta di plastica agitata dal vento e attaccata a una ciambella di metallo. Quando è rigonfia di rifiuti mostra tutte le porcherie che contiene, come un’ecografia del fetido; fino a che non si stacca dal cerchio di plastica, o non viene bucata dal becco di un gabbiano, dal morso di un roditore, dall’unghia di un cinghiale, e allora si riversa per terra e sparge schifo. E sono pure rare.
Gli unici rapporti tra i cittadini e il comune sono le multe, le sanzioni per qualsiasi colpa; il peccato originale di abitare a Roma. Il cittadino tipo di questa città, che si trova più a suo agio, è l’homeless, il barbone, forse per un malinteso senso evangelico. La città eterna si è fatta lei stessa homeless, s’è incinghialita, intopata e ingabbianita. Se passate a prima mattina a Trastevere tra le scorie e le rovine della notte precedente, sembra che ci sia stata una battaglia tra cartaginesi e ucraini, lanzichenecchi e nigeriani. I più professionali sono gli spacciatori, il resto mangia.
Magari è divertente venire una volta a visitare questo intestino crasso che si è fatto urbe, fare le file per pranzocenare pure alle sei di pomeriggio, scegliere il coro a cui aggregarsi, perché ogni strada è una curva sud. Ma per chi ci vive, o vorrebbe tentare di vivere, o per chi, come me, a volte ritorna, l’unica voglia che ti prende è di ripartire, presto. Tutte le strade portano fuori Roma. Altro che l’Expo, meglio l’Espatrio.
(Panorama n.43)