Il cinema chiude? Colpa della Meloni

Dura ormai da un mese la mobilitazione delle Anime Belle, Attori e Pd, per “salvare trenta sale cinematografiche di Roma che rischiano di diventare degli ipermercati”, per giunta in mani straniere. Il colpevole, naturalmente, è il rozzo governo di centro-destra, in particolare la sua versione laziale, anche se le sale sono chiuse da molti anni. E giù il tappeto rosso di firme che si stendono come sempre in queste battaglie nobili, generose, per la cultura e la salvezza del cinema.
Da Paolo Sorrentino a Matteo Garrone, da Paola Cortellesi a Marco Bellocchio e Valerio Mastandrea, da Elio Germano a Pierfrancesco Favino. Poi la mobilitazione romanesca è diventata mondiale ed è arrivato un altro elenco guidato da Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e compagnia hollywoodiana al seguito. Solo per citarne alcuni: Fanny Ardant, Alfonso Cuarón, Willem Dafoe, John Landis, Isabella Rossellini, Paul Schrader, John Turturro, David Cronenberg, Spike Lee, e via dicendo.
Sempre gli stessi, contro Trump o per il cinema America de noantri. Ma che bravi. Alle anime belle non viene il dubbio che quelle sale cinematografiche siano chiuse da anni per fallimento nella gestione e negli incassi; pochi spettatori, forse troppi dipendenti, comunque impossibilità di tenerle in vita. Passo da anni davanti al cinema America a Trastevere, e avverto un senso di squallore, sporcizia e desolazione. Ma anche sale più importanti, come il Metropolitan in via del Corso… A volte provarono con esperimenti autogestiti e fu un altro fallimento.
Verrebbe da dire alle Anime Belle, molte delle quali anche facoltose: e se provaste voi a prenderli in carico, a rilanciarli magari costituendo cooperative tra attori, registi e cineasti? Ma solo per rimetterli in sesto ci vogliono capitali importanti, con la prospettiva di un altro buco nell’acqua. E allora chi deve farlo? Ma lo Stato, il Comune, la Regione, il Denaro Pubblico. Soluzione sovietica, corrotta dall’italico assistenzialismo. E visto che da anni non si trova la quadra, per loro è meglio tenerli chiusi piuttosto che cambiare loro destinazione d’uso. Anch’io detesto il pullulare di supermercati, jeanserie, minchionerie di vario genere che hanno preso il posto di botteghe, sale e altri esercizi. Anzi, quando penso all’impoverimento culturale e alla colonizzazione dell’ignoranza consumista, ho un quadro più completo della miseria romana, e della miseria italiana, oltre le sale cinematografiche. Se vi fate un giro per la Capitale, ricordando un passato neanche troppo remoto, vi accorgerete che tanti teatri a Roma sono chiusi da anni o vivono tra il coma e l’agonia da diverso tempo; i tre quarti delle librerie che c’erano fino agli anni novanta non ci sono più; i tre quarti delle edicole che c’erano non ci sono più. È deprimente vedere cosa c’è al posto di librerie e luoghi di cultura: mangerie, birrerie, vestierie, telefonie, sciocchezzerie, spaccio di cannabis, kebab…
E se allargate lo sguardo oltre la cultura, per esempio, al contesto religioso, vi accorgete di quante chiese e parrocchie sono oggi chiuse, quasi chiuse, deserte. Quanti conventi sono vuoti. O si parla, col vostro assordante silenzio, di riconvertire quei luoghi di culto in ristorazioni, b&b, centri sociali, nella migliore delle ipotesi luoghi di ricovero e accoglienza.
La causa di tutte queste chiusure non sono le giunte di destra, il governo Meloni, la barbarie dei fascisti al potere, o i fantomatici assalti nazisti a sale, librerie, chiese e teatri. Ma la ragione evidente è la mancanza di utenti, di frequentatori, di credenti, di lettori, di spettatori dal vivo. In una parola il mercato, o in casi più elevati la comunità, gli affini. La ragione culturale retrostante è il dominio di un modello anti-culturale e globale fondato sui consumi, le merci e la tecnologia. La stessa forza che sradica, distrugge, spegne ogni conato di appartenenza, cultura, valori, fede e che voi in ambito ideologico salutate come emancipazione, liberazione, progresso. Pensavate che liberandosi delle antiche fedi e superstizioni delle società patriarcali, avremmo avuto una più larga fruizione della cultura, del pensiero, dei libri e del senso critico. Invece è accaduto che se spegni l’una poi si spegne anche l’altra, senza il mito non regge la storia, senza religione si spegne poi anche la filosofia, senza la fede si può fare a meno anche della cultura, della storia, della scienza perfino, salvo per l’utilità che produce trasformandosi in tecnologia. Non è il cinema la vittima o il nemico del Male Consumista, ma la civiltà, che comprende tutto, tradizioni, fede, cultura, libri, memoria storica, senso del bello, amore per l’arte… E non possono essere assurdi decreti regionali, manifesti di intellettuali e cineasti, comizi e mobilitazioni del valoroso popolo cinematografaro, a cambiare la situazione. È un discorso più radicale a cui si può rispondere solo col realismo pratico quotidiano e con un cambio di pensiero e di paradigma nelle cose grandi e lungimiranti. Entrambi estranei ai vostri indignati documenti e relative firme, che non cambiano niente, ma servono solo a mostrare la vostra superiorità etica, morale sui mostri che non la pensano come voi; per assolvervi da ogni possibile corresponsabilità e per scaricare ogni problema del nostro tempo sui barbari populisti che a causa di quella deprecabile anomalia che è la sovranità popolare, vanno al governo per via elettorale. Ma questo è un film che vi girate nelle vostre teste.
(Panorama n.11)