Giardino d’infanzia 

Ma com’erano i bambini quando nascevano in branchi e non in campioni unici e irripetibili, e in casa anziché in ospedale? Provo a rinfrescarvi la memoria con graffiti di preistoria ripescati dall’infanzia. Piccoli quadretti di scarso valore rubati all’oblio, per raccontare, tramite storie minime, la dolce fatuità del passato.

*Passa l’angelo e dice amen. Da bambino appena facevi una smorfia, una boccaccia o peggio imitavi uno storpio, genitori e adulti ti ammonivano: non farlo, sennò passa l’angelo e dice amen; ti fa rimanere per sempre così. C’è pure una canzone di De Gregori sul tema. Ho sempre pensato con apprensione a quest’angelo feroce, veloce e privo di senso dell’ironia che ti faceva restare per sempre con la boccaccia, il viso mostruoso e la gamba zoppicante. La faccia d’angelo, i modi celestiali, e poi, con quella purezza divina, con una parolina ti rovina per sempre…Amen, così sia. Ma perché questa tempestiva ed esagerata punizione per uno scherzo da bambini? Rovesciai la teologia che considerava i diavoli come angeli decaduti, convincendomi al contrario che gli angeli fossero diavoli progrediti, dalle buone maniere e dalla carnagione bianca, ma terribili quanto i loro più abbronzati colleghi del piano inferiore. E mi convinsi che gli handicappati fossero in origine bambini dispettosi che erano stati puniti per la loro disobbedienza. Cave signatos, si diceva crudelmente allora, altro che inclusione per i diversamente abili. (Risvolto da non rimpiangere). 

 

*Perché le figurine dei calciatori, associate nella memoria infantile agli album Panini, ebbero grande successo da noi? Si, perché il calcio era lo sport più popolare, perché ogni bambino sognava di essere campione in erba e si giocava dappertutto. Ma c’è una ragione in più, e più profonda, che sfugge: perché il nostro era il paese dei santi e dei santini, la figura del santo era il passepartout del paradiso, lo scudo di protezione, la carta d’indentità patronale di un paese, l’eredità degli dei pagani lasciata alla civiltà cristiana. Non divinità discese dal cielo, non angeli venuti a soccorrerci e a custodirci, ma umanità salita al cielo, gente come noi che aveva compiuto il cammino di fede, opere e dedizione ed era diventata intermediaria col divino. La nostra era la civiltà dei santi e le figurine erano la continuazione dell’agiografia in ambito sportivo; così come i santini dei candidati erano la promessa elettorale, lo scambio tra voto e protezione, preferenza e raccomandazione, tra credenti e potenti. Ogni bambino aveva il suo patrono nel calcio, il suo santino preferito, il suo modello. Santi, santini e figurine erano le icone degli influencer di quel tempo.  

*La mia play station dell’infanzia fu un agnello vero, adottato per capriccio in casa. Fui accontentato fino a quando pretesi di mangiare con lui sul pavimento, a quattro zampe, dalla stessa scodella. Non volevo umanizzare l’agnello ma ovinizzarmi io, in una fraternità evangelico-zoologica. Mi tolsero l’agnello per non farmi aderire al gregge. Dissero che se n’era voluto andare lui, per tornare da sua madre. Anche tu avresti fatto la stessa cosa. 

 

*In quel tempo ero buono e volevo alleviare le fatiche domestiche di mia madre. E siccome era uscita, come quasi mai faceva, mi intrufolai in cucina e vidi un cartoccio traboccante di merluzzi che mia madre avrebbe pulito al suo rientro. Pensai di fare cosa utile lavando i merluzzi con il detersivo. Salii sulla sedia e li lavai nel lavandino con Olà, confezione blu con strisce bianche e rosse. Diventarono brillanti le squame dei merluzzi nella schiuma, sembravano pezzi d’argenteria. Sapevano di bucato. Mostrai orgoglioso la mia opera a mia madre. Notai però, con sorpresa, un segno d’ingratitudine in lei. Quel giorno, stranamente, mangiammo per secondo uova al tegamino. Che fine avranno fatto i pesci?

 

*A casa mia non avevamo ancora la tv e il frigorifero, per l’acqua fresca bastava farla scorrere dal rubinetto; primo segno di novità, era appeso al muro un topone nero a due teste, dotato di coda e guscio, che squittiva, chiamato telefono. 921585, il primo numero non si scorda mai. Era nel corridoio perché la telefonata aveva una valenza corale, famigliare e doveva essere breve, comunicare l’essenziale, come un ricetrasmittente militare. Passo e chiudo. In teleselezione, poi, ancora più brevi e si alza la voce, perché parla da remoto.

 

Una sera scoprì la modernità. Andai a trovare un mio amico, Maurizio, che aveva i genitori più giovani dei miei, era nato a Roma, aveva il televisore in casa, e pure il frigorifero e il termosifone. Coetaneo, abitante di fronte a casa mia, ma mille anni più avanti. A casa sua scoprì che c’era l’acqua minerale frizzante in bottiglie di plastica, c’erano le bustine di idrolitina e si poteva tracannare a cannella, prelevandola direttamente dal frigo, previo schiacciata di pedale del bestione bianco; senza miscelarla, come invece raccomandavano i miei genitori, con acqua a temperatura ambiente per evitare sicure morti per congestione. E alla fine della bevuta, visto il gas, era giustificato anche un rutto di adulta mondanità. C’era un riassunto epocale in quella bevuta, quante libertà in un solo gesto: acqua ghiacciata del frigo, gassata, bottiglia in plastica, bevuta a cannella, rutto incontenibile… Ammazza che modernità.

 

*A quattro anni sniffavo e cadevo in ecstasy olfattiva con turbe pseudoerotiche puerili. Lo spacciatore era il barbiere. Dopo lo spruzzo di un orrendo, bruciante profumo sulla nuca arrossata, donava sottobanco calendari profumati con donne dalle tette esagerate su vitini di vespa. Il calendario emanava un odore inebriante: il primo erotismo fu per via inalatoria, in sinestesia con la vista. Ma a 4 anni, le confondevo con le figurine Mira Lanza, quella eccessiva gibbosità anteriore e posteriore era ai miei occhi di bambino solo una monelleria del disegnatore e una caricatura femminile.

 

*Una di quelle sere di fine autunno in cui ti aspetti che dalla cucina ti chiami tua madre o tuo padre a mangiare castagne arrostite. Tu stai facendo i compiti e senti il profumo delle caldarroste impregnare la stanza e salire dalle narici. Felicità è quella pausa odorosa e quelle mani che liberano il frutto giallo e nero dalla buccia arrostita, quel goloso mangiare insieme, tra mani di carbone e punte fredde delle dita che frugano tra caldi frutti…Nostalgia delle castagne di casa. Dal tegame bucato entrano fiamme ed escono ricordi brucianti. La fiamma dei ricordi.

La Verità – 11 agosto 2024

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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