È barbaro rivalersi sull’arte, lo sport e la cultura

Ottomila, diecimila artisti di tutto il mondo chiedono di escludere Israele dalla prossima Biennale di Venezia perché è in atto a Gaza un genocidio. Non pensavo che esistessero diecimila artisti viventi sulla faccia della terra, dico veri artisti. Aspiranti ce ne sono milioni, ma artisti da esposizione internazionale no. E immaginare gli artisti inquadrati in una specie di sindacato, di internazionale degli Artisti Impegnati, stride con l’immagine dell’artista e dell’arte. Non credo che gli artisti possano costituire un plotone d’esecuzione, meglio un battaglione, no, un reggimento, di più, una falange, anzi, visti i numeri, una divisione, che è l’unità militare più ampia, dai diecimila in su. Però superato l’impatto numerico esorbitante, la stridente contraddizione tra il sindacato e la creatività dell’arte e l’altrettanto evidente filo rosso ideologico, entro nel merito dell’appello. Non discuto la fondatezza della denuncia, credo che ci sia davvero a Gaza un’emergenza umanitaria, migliaia di vittime tra le popolazioni civili, migliaia di bambini uccisi, mutilati, privi di soccorso sanitario, situazione tragica negli ospedali. Qualunque cosa si pensi di ciò che sta accadendo in Israele e in Palestina, non si può negare l’orrore davanti ai propri occhi. Non possiamo commuoverci per la tragedia degli ucraini e poi fare come se nulla fosse per la tragedia dei palestinesi: come non valeva richiamare i precedenti del governo ucraino per giustificare l’invasione russa, lo stesso vale per Gaza. E dire che tutto nasce in risposta all’orrore del 7 ottobre non mi pare una risposta degna e intelligente: gli orrori non si cancellano a vicenda, uno non giustifica l’altro, semmai si aggiungono, si aggravano a vicenda. Non si può far scontare alle popolazioni civili la barbarie di un conflitto. Non sto dunque contestando nel merito la denuncia della Divisione Artisti, anche se è unilaterale.

Contesto invece un’altra cosa: l’arte e la cultura, ma anche lo sport e lo spettacolo (la stessa esclusione di una cantante israeliana si sta chiedendo al festival Eurovision), non devono adottare barriere ed esclusioni: devono restare una zona franca, un corridoio umanitario permanente, un dialogo aperto tra popoli, tra atleti, tra artisti, al di là degli stati, degli eserciti e dei terroristi. Altrimenti è finita, il nemico si fa assoluto, l’odio diventa il signore del mondo, finiscono le relazioni. L’arte come lo sport raccoglie le eccellenze, valorizza i migliori, non c’entra con la guerra.

Usare l’arte, la cultura, lo sport e lo spettacolo per fare politica, punire gli stati tramite gli artisti e i loro popoli, è una forma ipocrita di barbarie umanitaria. A essere rigorosi non si potrebbero mai svolgere olimpiadi, rassegne internazionali, sfide, perché almeno in mezzo mondo la libertà, la democrazia, i diritti umani sono violati. Fu un’idiozia faziosa escludere il padiglione della Russia dalla scorsa Biennale, a cui seguirono una serie di idiozie conseguenti di rivalsa su opere, autori e artisti russi, anche del passato, perfino su Dostoevskij; e poi su pianisti, musicisti, attori, artisti viventi, come se ciascuno dovesse rappresentare il proprio stato e rispondere delle sue nefandezze. I conflitti vanno circoscritti, mai allargati.  Grottesca lettura nazionalista di altri tempi, secondo cui un russo è responsabile per ragioni etniche di tutto quel che fa lo Stato o il regime russo, e così un suddito di un paese dispotico. Le appartenenze nazionali vengono dichiarate ogni giorno obsolete, reazionarie, superate, e poi improvvisamente il tuo essere israeliano, russo, o chi volete voi, diventa un peccato originale da punire: ogni russo, per ragioni etniche, risponde del suo paese. E se non si è dichiarato dissidente, se non ha chiesto asilo politico, se cerca di convivere col regime del suo paese, ossia di continuare a vivere nel paese in cui è nato e cresciuto e in cui ci sono i suoi affetti e i suoi interessi vitali, è considerato un complice del regime. Questa è barbarie, discriminazione etnica, subordinare l’arte al potere, la cultura e lo sport alla politica e alle armi. Barbarie che per giunta non serve a nulla, non indebolisce i regimi che si vuole colpire, semmai si costringe la popolazione assediata ed esclusa a stringersi intorno al suo regime, come accade con le sanzioni, l’embargo ad alimenti e medicine. Mentre può generare qualcosa di buono ammetterli alle rassegne e alle competizioni mondiali.

Le esclusioni poi hanno sempre il vizio brutto di colpire alcuni stati, alcune nazioni e di risparmiarne altri. Chi dovrebbe esercitare il ruolo super partes di stabilire il discrimine tra gli ammessi e gli esclusi, i buoni e i cattivi, gli stati canaglia e gli stati affidabili? Chi dovrebbe decidere la soglia? Gli Stati Uniti, gli Artisti Uniti, le Nazioni Unite, o chi altri? Quanti regimi dispotici, per esempio sauditi, sono accolti in Occidente come partner e altri sono esclusi e vituperati? Se vediamo la storia dei nostri giorni non con gli occhi occidentali, troviamo spesso capovolti i ruoli e le colpe che qui da noi vengono automaticamente attribuiti ad alcuni paesi anziché ad altri, a certe autocrazie invece che ad altre, fino a esonerare certi arbitri mondiali. 

E in passato quante volte paesi come l’Urss, Cuba, la Cina popolare, il mondo arabo, regimi dispotici d’Asia o d’Africa, sono stati accolti senza colpo ferire nelle competizioni e nelle rassegne artistiche e sportive, malgrado persecuzioni, invasioni, gulag e lager?

Insomma, è più saggio lasciare fuori da queste zone franche la discriminazione etica ed etnica di Stati e popoli: sia che riguardi Israele che l’Iran. In un mondo perennemente lacerato, diviso, solcato da guerre, rivoluzioni e repressioni cruente, lasciamo che almeno l’arte, il gioco, la cultura, la ricreazione, restino fuori, come la croce rossa e come dovrebbero le religioni. L’unico dubbio che resta riguarda il comportamento conseguente degli ammutinati: se non verrà escluso il padiglione d’Israele, come ha annunciato il governo, i diecimila artisti diserteranno la biennale oppure no? O nonostante le eventuali massicce defezioni non ci saranno conseguenze rilevanti sulla rassegna e sull’arte perché magari molti di quegli artisti erano solo sedicenti, avevano la tessera del collettivo ma con l’arte non c’entravano affatto?

La Verità – 1 marzo 2024 

 

Condividi questo articolo

  • Facebook

  • Instagram

  • Canale Youtube

    Canale Youtube
  • L'ultimo libro di Marcello Veneziani

    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

    Leggi la biografia completa

Le foto presenti su questo sito sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione non avranno che da segnalarlo a segreteria.veneziani@gmail.com e si provvederà alla rimozione.

© 2023 - Marcello Veneziani Privacy Policy