Dal videomapping a un governo vero
Il governo Conte è un videomapping proiettato sull’Italia. Dà l’illusione ottica di scenari in movimento, opere e realizzazioni in corso, ma è solo un gioco di luci, clip e sonoro. Governo di simulazione, fondato sui verbi declinati al futuro.
Ma ad essere più precisi, la politica in Italia è da tempo ridotta a un vasto videomapping, un trucco plateale, in cui la realtà non viene modificata ma abbandonata a se stessa, e spesso va in malora; la politica si cura di proiettare sul Paese una fiction, giochi di luce che simulano grandi costruzioni, cambiamenti fantasmagorici o pericoli mortali (es. il nazismo tornante). Anche l’opposizione disegna videomapping ma ha due attenuanti: non può fare altrimenti perché non governa; e usa il gergo della realtà, dice le cose che stanno a cuore alla gente.
L’ultimo giochino di luci in piazza sono le sardine: attira gente in piazza e non perché vi sia una sola mezza idea, un solo mezzo leader, una sola mezza proposta per cambiare la realtà, ma è puro spettacolo di se stessa, la piazza che va in piazza per vedere la piazza, per farsi un selfie di piazza travestiti da sardine. Propagandisti del nulla, avrebbe detto Giacomo Noventa.
L’incapacità della politica di incidere sulla realtà, se non per sfigurarla, lascia che pezzo dopo pezzo l’Italia vada in cancrena: acciaierie, Alitalia, campagne, banche, aziende decotte o in fuga, scuola, università, fisco e l’elenco coprirebbe quasi l’intera realtà italiana. Il venditore di fumo che abita attualmente a Palazzo Chigi è come la Raggi a Roma, solo il punto più basso di una lunga parabola discendente.
La soluzione può essere un governo di salvezza nazionale, come ha proposto Salvini? L’unione degli incapaci non produce un governo capace ma solo l’amplificazione delle incapacità, a cui poi si aggiungerebbe l’unica arte politica florida in Italia da sempre: i veti incrociati, l’interdizione reciproca, il potere di far fallire, per dirla con Jep Gambardella, il personaggio de la Grande Bellezza interpretato da Toni Servillo.
Il messaggio lanciato da Salvini – se non è come dicono taluni un segnale a Matteo Renzi o il frutto di un patto con lui – ha solo due significati plausibili: sottolinea l’incapacità del presente governo di fronteggiare la grave situazione; e prevede un accordo di massima tra maggioranza e opposizione solo per definire tempi e regole per andare a votare. Altro non si può vedere in quella proposta. Affidare questa transizione a un personaggio come Mario Draghi sarebbe autocertificare il fallimento della politica e consegnarsi a un vip autorevole e capace, che rappresenta l’abdicazione della sovranità politica, popolare e nazionale in favore di un tecnico eurocrate.
Più passa il tempo e più mi convinco che la politica debba ridefinire i suoi ambiti se vuole sopravvivere e trovare un briciolo di dignità, distinguendo il piano della rappresentanza da quello della decisione. Mi spiego. Chi è capace di rappresentare umori, malumori, paure della gente, non è altrettanto in grado di realizzare efficaci soluzioni di governo. Bisogna distinguere, come facevano gli antichi romani, fra tribuni della plebe e consoli, cioè tra grandi comunicatori e capaci governanti. Chi è bravo nell’uno di solito non è bravo nell’altro.
Questa dicotomia ne rispecchia un’altra più vasta che riguarda il popolo dei social. Un conto è garantire, come è sacrosanto, la libera espressione delle opinioni dei cittadini in rete e in ogni altro spazio pubblico, senza censure e avvisi di reato, se non quando si entra nel campo penale accertato (violazioni, violenze, diffamazioni). Un altro conto è ritenere che la rete, i social, possano decidere e designare direttamente i governi, attraverso quella caricatura di democrazia che è il voto su piattaforma: il dogma dell’uno vale l’altro e dell’accesso al comando col sorteggio o in altro modo casual.
Oggi abbiamo un’alleanza di governo fondata esattamente sul contrario: c’è una sinistra intollerante che mira a censurare la libera opinione dei social, vuol reprimere, mettere fuori legge, tappare la bocca al dissenso, prendendo come pretesto i casi patologici sempre facili da trovare. E c’è la setta grillina che pretende di eleggere ministri e governatori tramite piattaforme, sorteggi e minitest in rete, senza alcuna garanzia di capacità ed esperienza.
Il risultato è quello che vediamo: campagne intimidatorie contro i social ma poi dai social, tramite una grottesca piattaforma, vengono sparati al governo dei marziani dementi e ignoranti. Lasciatela parlare, la rete, ma non affidate il governo al primo che capita… Così un paese di sfascia, accelera il suo declino, nel giro di poco tempo. Senza scampo.
A mio parere, occorre rovesciare il quadro vigente, scindere la libera opinione da tutelare, dalla responsabilità di governo da affidare a gente capace e qualificata. Ovvero, detto in termini politologici, va separata la rappresentanza dalla decisione. Social liberi in rete ed efficaci tribuni della plebe a rappresentarli in politica. Ma governi di qualità e competenza dall’altra.
La svolta potrebbe essere una repubblica presidenziale. Ma non con l’idea di affidarsi all’uomo della provvidenza, il presidente salvifico eletto dal popolo; si dovrebbe piuttosto votare scegliendo tra squadre di governo, in modo da non avere poi sorprese. Scegliere chi ci governerà, non l’Autocrate singolo ma i dieci, venti ministri che guideranno l’Italia per i prossimi cinque anni, con mandato pieno di legislatura. Insomma si tratta di distinguere i luoghi della rappresentanza dai luoghi della decisione, il parlamento e il governo, la rete popolare e la classe dirigente.
Difficile a farsi, ma non vedo altra possibilità per un paese che si sta sgretolando mentre vediamo in piazza il videomapping di Contebis o i cartoni animati delle sardine.
MV, La Verità 18 dicembre 2019