Craxi, l’unico statista di sinistra
Nella storia della Repubblica italiana Bettino Craxi è l’unico leader politico di sinistra che ebbe la statura di statista, nonostante le ombre e le cadute. Nella storia d’Italia il suo unico, autorevole precedente è stato Francesco Crispi, a parte Mussolini. Oggi, a venticinque anni esatti dalla sua morte, dovremmo tutti riconoscerlo. Nel periodo più buio della sua vita, quando era rifugiato ad Hammamet e il giudizio dominante sulla sua esperienza era in prevalenza negativo e affidato ai magistrati più che alla storia politica, lo intervistai e lo definì il più grande statista degli ultimi vent’anni. Dopo tanti anni ritengo che quel giudizio debba essere modificato solo per quel che riguarda l’arco temporale: Craxi è stato l’ultimo statista degli ultimi quarant’anni, anzi l’ultimo leader politico lo definì allora e ora lo ripete pure Aldo Cazzullo nel titolo del suo libro su Craxi. A proposito di biografie appena uscite, un’onesta ricostruzione è Il fantasma di Hammamet di Massimo Franco, come il libro-ricordo di sua figlia Stefania, All’ombra della storia.
In quell’intervista pubblicata sul settimanale Lo Stato, che all’epoca dirigevo, Craxi mi rispose a una domanda che gli chiedeva un bilancio della sua vita politica: “Ho fatto tutto di corsa in una specie di frenesia che mi bruciava l’animo. Ho così commesso anche molti errori. E tuttavia, quello che io penso è che nella mia vita ho reso grandi servigi all’Italia. La storia, se non sarà scritta da storici di regime, dirà quanto questo è vero. Certo non merito di essere condannato a morire lontano dal mio Paese”. Parole che suonavano come un testamento.
Ora ci sono vaghi tentativi di riabilitare Craxi come leader della sinistra riformista, europeista e modernizzatrice. Riabilitato come leader di sinistra scatta il bonus etico, viene ripulito dei suoi peccati e dei suoi reati. In effetti lui fondò, dopo Saragat, la sinistra postcomunista e libertaria, riformista e occidentale. Al suo confronto il fin troppo incensato Enrico Berlinguer risulta modesto e scialbo; non osò compiere veramente la svolta socialdemocratica ed europea, si attardò con l’eurocomunismo, oscillando tra la diversità comunista e il compromesso storico, mentre Craxi aveva già compiuto una radicale rottura non solo con il leninismo e il marxismo sin dal 1978; ma anche con la demagogia egualitaria e sindacale che allora imperversava.
Ma Craxi è soprattutto l’ultimo grande leader politico italiano che abbia fatto valere il primato della politica e della sovranità nazionale sull’economia e sui poteri sovranazionali. Riaprì i conti con la nazione e la modernizzazione, la visione dell’Europa come terza via tra la subalternità atlantica e il residuo sovietismo; l’urgenza di una riforma istituzionale di tipo presidenziale e un sistema con un’effettiva alternanza. Se Craxi restò a sinistra vi restò sposando la tradizione socialdemocratica col decisionismo e col socialismo tricolore risorgimentale.
Craxi, e anche Moro e Andreotti, pagarono duramente il loro mancato, totale allineamento agli Stati Uniti e la loro linea sulla questione arabo-palestinese.
All’epoca si pensava che con la caduta del Muro e dell’Unione Sovietica le nazioni si sarebbero liberate dal vassallaggio internazionale e avrebbero realizzato l’unità europea. Ma la globalizzazione tecno-finanziaria e il predominio Usa hanno al contrario impedito ogni vera sovranità nazionale ed europea.
Quando andò a Palazzo Chigi Craxi conquistò larghe simpatie a destra. Quando fermò la demagogia sindacale ai tempi della scala mobile, quando scelse l’Europa e l’Occidente, quando si oppose al compromesso storico, trovò il consenso della destra liberale e anticomunista. Prima il Giornale di Montanelli, poi i cosiddetti lib-lab, i liberal-laburisti. Ma con la svolta nazionale e presidenzialista, con Sigonella dove riaffermò simbolicamente la sovranità nazionale, con la linea filo-palestinese, con il suo “sdoganamento” prima di Almirante e poi di Fini (che trovò inconsistente) Craxi conquistò simpatie anche nella destra sociale e nazionale. Non fu però sostenuto, nemmeno nella vicenda di Sigonella, né dal Pci a sinistra né dal Msi a destra (salvo Beppe Niccolai e Giano Accame). Almirante vide nel socialismo tricolore un pericoloso concorrente e contrastò chiunque dialogasse da destra col craxismo. In quegli anni scrissi a sostegno del suo decisionismo tricolore, anche in un saggio che pubblicai con una casa editrice di area craxiana, la SugarCo di Massimo Pini. Ricordo che Craxi mi chiese tramite Pini di procurargli “Intellettuali sotto due bandiere” di Nino Tripodi, edito dalla casa editrice che allora dirigevo e che raccontava il passato fascista di tanti voltagabbana, antifascisti postumi, diventati ora suoi nemici.
Craxi suscitò simpatie anche tra i ciellini e nel mondo cattolico per via del nuovo Concordato da lui siglato con la Chiesa di Giovanni Paolo II nel 1984, e per il suo sostegno a Solidanosc in Polonia e ai dissidenti dell’est come Jiri Pelikan.. A sinistra, invece, lo demonizzavano come un duce redivivo, per giunta alleato della peggior Dc, quella di Fanfani, Forlani e Andreotti, il famigerato CAF. Infine, a furor di giudici e stampa, lo incoronarono Re di Tangentopoli (anche il Msi finiano si unì al linciaggio e partecipò al lancio delle monetine all’Hotel Raphael). Agrodolce fu da ultimo il suo giudizio sul Berlusconi sceso in campo, considerava passeggero l’effetto Di Pietro in politica e riteneva Fini “un vuoto incartato”.
Craxi fu la bestia nera del consociativismo tra cattolici, comunisti, laici, salotti buoni e Confindustria, col sostegno della grande stampa; voleva modernizzare la sinistra e sdoganare la destra (fu il primo a farlo, dopo vennero Cossiga e infine Berlusconi), liberandosi dalla pregiudiziale antifascista e dell’arco costituzionale; pensò a una grande riforma istituzionale con l’elezione diretta del Capo dello Stato. Favorì la revisione storica, rilanciò la passione nazionale e risorgimentale. Il suo governo, il più duraturo della prima repubblica, coincise con un periodo di benessere, vitalità imprenditoriale e prestigio internazionale, da quinta potenza mondiale (anche se il debito pubblico cresceva). Craxi si circondò non solo di nani e ballerine, come disse in quel tempo Rino Formica, ma anche d’intelligenze politiche affilate, rampanti politici di prim’ordine e cenacoli intellettuali come il laboratorio di Mondoperaio. Ciò non sminuisce le sue colpe nell’Italia del malaffare, della partitocrazia e delle tangenti. Ma a chi ancora gli rimprovera di essere stato il Patrono di Tangentopoli, dimenticando i precedenti storici democristiani, la corruzione già diffusa prima di lui anche nel Psi e nel Psdi, i fondi sovietici che finanziavano il Pci e le organizzazioni parallele, osiamo rispondere: ad avercene oggi a sinistra di leader e statisti come lui.
La Verità – 18 gennaio 2025