Covid, ricordare per dimenticare

A cinque anni dal covid ci rimane un solo desiderio: non vedere più le facce di quei giorni. Si, le immagini di ospedali, di malati, di ambulanze e di carri funebri, le mascherine, le file, i vaccini. Ma anche le facce che ci guidarono e ci accompagnarono in quei giorni: i presidenti, a partire dal premier, i ministri, a partire dal ministro della salute, i capataz della sanità, i testimonial medici e mediatici del covid, le loro voci, le loro cantilene, le loro minacce, le loro promesse, le loro prescrizioni. Non vogliamo vederli più, anche se non pochi circolano ancora, soprattutto in tv, o perfino sui massimi troni. Muoia il covid con tutti i filistei.

Cinque anni fa il covid ci invecchiò di colpo. Invecchiammo tutti più in fretta; donne, vecchi e bambini, giovani e adulti. Vivemmo un anno, quasi due, da vecchi, con una mezza tregua estiva. Stando reclusi in casa, vivendo da pensionati, da cagionevoli, da convalescenti, distanti da tutti, isolati dagli altri, al riparo dal mondo; curammo la nostra sopravvivenza vivendo meno, non uscendo, non viaggiando, non rischiando. Patimmo la lontananza dai corpi, e la paura per il proprio corpo, come accade ai vecchi. E come succede ai vecchi anteponemmo a tutto la salute; salvare la pelle, a ogni costo. Molti vecchi morirono a causa della pandemia ma l’Italia non diventò più giovane. Fu questo il primo, grande danno biologico che patimmo in massa. Perfino gli adolescenti invecchiarono di colpo sotto la pandemia: se un ragazzo non va a scuola, se lo separi dagli amici, se reputi ogni comitiva un’adunata sediziosa e contagiosa, se gli proibisci di stare all’aperto, viaggiare, andare per strada o fare movida, gli imponi di vivere da anziano con un corpo di giovane e pulsioni di giovane. Fummo sempre più spettatori, sempre meno attori, vivemmo la vita degli altri, a volte la morte; incollati al video e alle mansioni domestiche, alla vita stanziale e ospedaliera, alle mascherine e ai vaccini.

Restò sospeso un interrogativo che abbiamo voluto rimuovere: senza lockdown sarebbe stata davvero una catastrofe o sarebbe andata più o meno allo stesso modo senza quei sacrifici, quegli arresti domiciliari? Non abbiamo termini veri di paragone per affermarlo o per smentirlo. La storia del Covid ha due facciate: da una parte c’è la storia delle cure efficaci, della dedizione meritoria e benefica, dei tanti salvati, dei pericoli limitati o fugati. Ma dall’altra ci fu l’ondata di cure sbagliate che falcidiò agli inizi migliaia di persone, la raffica di vaccini; il regime di restrizione e di sorveglianza di cui non riusciamo ancora a quantificare i danni evitati, quelli provocati e le inutili limitazioni che ci fecero solo vivere male senza aiutarci davvero. E poi l’intolleranza e la persecuzione verso chi non si allineava, le assurde penalizzazioni…

Definimmo i giorni della pandemia come il tempo della novida, il contrario della movida. La novida è la perdita di vita, di lavoro, di relazioni, di viaggi, di libertà, di rapporti famigliari, di occasioni che stiamo patendo per timore del virus. La novida causò depressione di massa transanagrafica.

Quando finì il Covid rivedemmo gli italiani in giro, a piede libero e mente prigioniera; erano come animali spaventati che si riaffacciavano all’aperto guardinghi e mascherati, fuggitivi, pronti a evitare ogni vicinanza o assembramento. L’effetto crudo di quella lunga quarantena fu la riduzione dell’uomo, del cittadino, del pensante e del credente, ad animale. Il contagio, la quarantena, il terrorismo mediatico-governativo ci ridussero alla sfera della nuda vita. Il virus ci rese più uguali, perché ridotti alla sfera animale dei bisogni e delle paure. Uguali agli animali, privi di parola, di fede e di pensiero, di creatività e ricreazione.

La restrizione più profonda toccò la nostra visione, sia dello sguardo che della mente. Niente mondo e niente natura, niente messa in chiesa, niente mostre d’arte, niente dialoghi e niente librerie, niente cinema e niente teatro, niente concerti o sport. E anche ciò che avevamo la facoltà di fare stando a casa, come leggere e pensare, in fondo non l’abbiamo fatto, impegnati a salvaguardare la pelle, a fare ginnastica, poi incollarsi al video per non pensarci, e non pensare. Sospese le attività sociali e conviviali legate alle sfera alimentare, rimasero solo le file per i generi alimentari ai supermercati, alle farmacie e tutto ciò che attiene la vita animale: mangiare, bere, curarsi. Anche il cibo da asporto ci ridusse alla nuda vita del nutrirsi, a patto di non stare insieme, non avere compagni (cum-panis) di merenda. La riduzione biologica è stata anche riduzione individuale, in solitudine. Rispetto agli animali perdemmo il branco e l’aria aperta. Fu salvaguardata la “nuda vita”, come diceva Giorgio Agamben, la pura dimensione biologica. “Propter vitam vivendi perdere causas”, diceva Giovenale; per salvare la vita perdemmo la ragione di vivere. La vita si ridusse a fisicità: tosse, starnuto, prelievo, corsetta, controllo, tampone, mascherina, vaccino: un ventaglio di prescrizioni mediche sostituì il nostro lessico, riducendolo alla sfera corporale e sanitaria. E la gente, pur maledicendo e recalcitrando, preferì la sicurezza alla libertà, accettò di cedere i diritti in cambio di protezione. Regressione allo stadio animale, ma da animali feriti e braccati. La gente accettò la sudditanza interna e internazionale, i diktat sanitari, pur di salvare la pelle. Nel nome della salute sacrificò la libertà, la vita, il lavoro, la sovranità, la felicità. Mala tempora covid.

(Panorama n.10)

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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