Chesterton, il riso fa buon santo 

Il 29 maggio di 150 anni fa nasceva a Kensington Gilbert Keith Chesterton, scrittore cattolico e conservatore dalla prosa lieve e giocosa e la corporatura opulenta. Ebbe una vita a suo dire “immeritatamente felice”, sosteneva che la fede del futuro poggerà su una forma più sottile di umorismo. Venne citato da Papa Ratzinger per una sua frase di celeste lievità: “Gli angeli possono volare perché sanno prendersi con leggerezza”. Fu perciò definito the laughingh philosopher, il filosofo ridente che deride la “stupidità intelligente” e presuntuosa. Chesterton sposò la fede all’umorismo, la teologia alla comicità, la tradizione all’ironia, e perfino il sacro al faceto. Sapeva distinguere tra religione e clericalismo, tra fede e bigottismo. Criticò il moralismo del suo tempo, quella bigotteria laica che oggi ha trovato un riparo ideologico nel canone woke. Non sposò la virtù dei farisei, quella che da noi Vilfredo Pareto definiva virtuismo, caricatura saccente, ipocrita e parruccona delle virtù. Elogiò a sorpresa la vanità che è spiritosa e sa ridere di sé stessa, a differenza dell’orgoglio che è tedioso e non sa nemmeno sorridere (da Eretici).  
Oltre la saga celebre di Padre Brown, il don Camillo british, il prete detective che negli anni sessanta Renato Rascel interpretò in una serie della Rai, Chesterton scrisse una raffica di pamphlet, pubblicati in Italia da Lindau, tra cui una paio di biografie di santi, Tommaso d’Aquino e Francesco d’Assisi, e alcuni saggi sulla Chiesa cattolica. Il bello di Chesterton resta però la sua fede tramite il paradosso, fino al grottesco; la sua confessione di felicità ridente di un credente. Quando morì Pio XI lo definì defensor fidei, titolo a cui potevano un tempo aspirare solo i sovrani. Dicono che i re d’Inghilterra se la fossero presa per l’accostamento con l’irriverente scrittore, ma loro si erano messi in proprio da secoli con lo scisma anglicano e dunque non potevano pretendere un trattamento di riguardo rispetto al loro suddito “infedele” perché cattolico. Mircea Eliade riteneva Chesterton il più grande scrittore cattolico “ride perché la vita è un romanzo sentimentale, perché il miracolo si compie senza sosta attorno a noi, perché la salvezza è certa”. Anche Borges era un suo lettore e perfino Gramsci…Chesterton fu ricevuto da Mussolini e si scoprirono reciproci ammiratori. Persino Italo Calvino diceva: “Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il Chesterton comunista”. A vederlo in maturità Chesterton è mastodontico nella sua pinguedine, ma il suo peso, dicevamo, ha la leggerezza della fede e usa il fioretto del polemista; non è un ateo devoto, ma un giullare di Dio, un catto-comicista. A volte esagera nella pretesa di far ridere a ogni costo e di suscitare sconcerto e sorpresa, gioca troppo con il sentimento del contrario, che secondo Pirandello è la fonte dell’umorismo, purché non diventi a sua volta una regola rigida, applicata quasi meccanicamente, con esiti scontati e un po’ stucchevoli. Ma l’esito complessivo rende in vivacità, grinta e freschezza. 
Per Chesterton se vuoi parlare di Dio, di religione, di fede e perfino di morale nell’epoca della scristianizzazione devi saper andare contromano, rovesciare il mondo coi paradossi, rendere la bontà accattivante, ridere di ciò che è serio, capire che nell’epoca dell’ateismo e della scienza onnipotente il comico è l’unico modo per presentare non dico la verità, che non è di questo mondo, ma la passione di verità che è poi ciò che ci rende davvero umani. Fu il primo a definire la religione “il mondo a rovescio”, in un’accezione positiva, diversa da quella del generale Vannacci. L’intento è scoprire la realtà sotto il pregiudizio, e la verità sotto la realtà capovolta. L’umorismo è quel che manca a certi cristianucci tetri e moralisti, soprattutto protestanti, ma anche a certi cupi giacobini della fede, che non sopportano chi ama la vita e chi sorride, considerandolo esempio di paganesimo edonista. Chesterton dice che i pagani ridono in apparenza, i veri cristiani ridono dentro, hanno quasi pudore della loro gioia ma sono intimamente felici. Lo scriveva un altro santissimo ciccione a lui molto caro, san Tommaso d’Aquino, trattando di felicità. La felicità è partecipare alla festa degli angeli, coi santi e i pazzi. Rovesciando una tesi antica e diffusa, Chesterton sostiene che il carpe diem toglie riso e destino agli uomini, li rende fugaci e occasionali, perduti nel giorno e nell’angoscia; ma esalta il gusto di bere, il piacere della tavola e del vino, sangue di Cristo, a cui dedica un magnifico brindisi, dove lo spirituale e lo spiritoso, lo spirito santo e lo spirito dell’alcol si mescolano in gioiosa euforia. Ricorda il cardinale Biffi che immaginava di trovare i tortellini in paradiso.
La fede di Chesterton sorge dopo la disperazione; una fede ironica, a tratti frivola, anche se nutrita di mistero e dedizione. Al nichilismo Chesterton oppone la realtà, il buon senso della vita. Se credessimo veramente al nichilismo “gli assassini riceverebbero medaglie perché salvano gli uomini dalla vita; i vigili del fuoco verrebbero denunciati perché li sottraggono alla morte; useremmo i veleni come medicine e chiameremmo il dottore quando siamo in buona salute”. Nel nome di Dio, Chesterton lega poi democrazia e tradizione, ritenendo che siano inseparabili: la tradizione è un plebiscito nei secoli, è “la democrazia prolungata nel tempo”; e la democrazia, a sua volta, regge sul sentire comune di un popolo.
Si deve a Chesterton la più penetrante analisi della pazzia. In Ortodossia scrive che il pazzo non è colui che ha perso la ragione, ma chi ha perso tutto tranne la ragione. La follìa è la perdita del rapporto col mondo e con la realtà, non la perdita della mente che anzi funziona “a folle”, figura perfette geometrie, ma a prescindere dalla realtà, dalla vita, dagli uomini. “I maniaci di solito sono grandi logici”. La precisione è una virtù delle macchine, degli orologi, ma non regola la vita umana. Un grano di follìa fa lievitare la fede, e fa combaciare l’amor di Dio con l’amore per la vita. Il paradosso in fondo è proprio quel grano di follìa che fa lievitare la realtà, come il comico a volte insegna l’esistenza di nessi impensati tra gli uomini e le cose. A volte è più proficua l’ironia rispetto alla esegesi logica, perché nell’epoca delle verità impazzite solo attraverso il paradosso è possibile avvicinarsi alla verità. Rovesciando il proverbio –  ma l’umorismo, come per certi versi la fede, è fondato sul sentimento del contrario- Chesterton insegna che il riso abbonda sulla bocca dei sapienti. Una risata solleverà il mondo e ci avvicinerà a Dio.

La Verità – 27 maggio 2024

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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