Accogliete la patria nella Costituzione

Egregio Presidente del Consiglio, caro conterraneo prof. Giuseppe Conte, il 4 novembre prossimo ci sarà una ricorrenza importante, fondamentale per l’Italia. Sarà il centenario della Vittoria. È l’unica data che celebra l’Unità d’Italia, è l’unica data condivisa della nostra storia nazionale, l’unica data che celebra una vittoria italiana che non sia ai mondiali di calcio o sport affini.

C’era a Palazzo Chigi un comitato per gli anniversari nazionali, di cui faccio parte, presieduto prima da Ciampi, poi da Amato e da ultimo da Franco Marini, ora dimissionario. Il mondo delle istituzioni, e non solo il comitato, è stato assai solerte nel ricordare i settantentari vari legati alla Resistenza. Ma qualcuno penserà a quel centenario importante o si sbrigherà tutto con un rituale passaggio del Capo dello Stato sull’altare della patria, un discorso di circostanza e poi basta? Per i 150 anni dell’unità d’Italia, il 17 marzo 2011, proposi di considerarla festa nazionale. Tante resistenze ma alla fine fu fatta. Stavolta non avrebbe nemmeno costi economici, perché il 4 sarà domenica; sarebbe un modo per rendere solenne un anniversario decisivo nella storia d’Italia, e non solo.

Ci tornerò sul tema del 4 novembre e della Grande Guerra, ma ora vorrei porre un’altra questione. Nella nostra assai lodata Costituzione, la patria è praticamente assente. Vi compare quasi di sfuggita all’articolo 52, ma solo per ricordarci del servizio militare. Il testo dice: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge”. Possibile che nel testo fondamentale della nostra nazione, della nostra repubblica, della nostra democrazia non ci sia alcun accenno all’amor patrio, al legame civile e culturale, morale e spirituale che ci unisce, ma solo il servizio militare obbligatorio, peraltro revocato? La patria è e resta il nostro legame più intimo, più antico, più concreto, più alto. La patria è la nostra storia, la nostra lingua, la nostra civiltà, la terra dei nostri avi, dei nostri caduti, dei nostri cari. Ci sarà qualcuno che se ne ricorderà nel governo in carica? Sappiamo che i 5 stelle si chiamano così per indicare 5 diverse priorità: l’acqua, l’ambiente, lo sviluppo, la connettività, i trasporti. E sappiamo la genesi padana della Lega; sarebbe l’occasione per dimostrare la svolta, riassunta nel motto “prima gli italiani”.

Se magari lei, da premier e da giurista, sollevasse la questione… Magari con una proposta: prima di riformare la Costituzione perché non inserire un preambolo dedicato all’amor patrio, al legame nazionale, all’italianità come matrice di civiltà? Da un governo “sovranista e populista” ce lo aspettiamo. Ma credo che potreste trovare i numeri per una maggioranza qualificata, perché se il governo è compatto non potrebbe sottrarsi il centro-destra e se il Pd si schierasse contro mostrerebbe il suo squallore antitaliano.

Sul piano storico, poi, si possono giustificare le ragioni storiche e contingenti di quell’assenza nella Costituzione. Venivamo da una guerra perduta, venivamo da un’overdose di patriottismo fascista, avevamo legato la patria alle armi e alla guerra e volevamo uscirne. Ma il paradosso aggiuntivo è che la Costituzione antifascista cita la patria solo in relazione ai militari…

Certo, sappiamo i traumi, la guerra mondiale e la guerra civile. E poi la caduta della monarchia che ne costituiva il tenue filo conduttore, dal Risorgimento in poi. E l’avvento di forze politiche cattoliche e social-comuniste, per loro storia, ideologia e indole transnazionali. Lo stesso liberalismo che in Italia ebbe connotati risorgimentali e liberal-nazionali, lasciò il posto a un liberalismo atlantico, al più europeista, laico-internazionale. Da quel coagulo di forze prese corpo la Costituzione.

Di recente si è tentato di collegare il tema del patriottismo al tema della Costituzione, riferendosi al cosiddetto patriottismo costituzionale, teorizzato in Germania. Da noi ne parlarono Scalfaro e da ultimo Napolitano, ne parlano ancora a sinistra, ne parlò perfino Benigni… Un patriottismo fondato sulla cittadinanza e non sull’appartenenza, sulle regole e le leggi costituzionali e non sulla nazione, la storia, la lingua e la tradizione italiana. E allora perché non proporre di inserire l’amor patrio nella Costituzione, in occasione del IV novembre, quando un popolo si sentì per la prima volta patria e nazione, unito da nord a sud, borghesi e proletari? Ci fa sapere, caro presidente, cosa ne pensa?

È importante ritrovare la ragion di patria, capire dove si è cacciata, anzi dove l’hanno cacciata nell’epoca che dichiara obsoleti i confini e le frontiere, superate le differenze nazionali e inevitabili, anzi auspicabili, i flussi migratori. In un Paese così spaccato dall’odio sarebbe prezioso ritrovarsi uniti sull’amor patrio. Anche per affrontare, alla luce del duplice rapporto con la Costituzione e la Patria, i temi cornuti chiusura/accoglienza, legalità/clandestinità, integrazione/espulsione.

Si tratterà di guardare con realismo alla patria nel mondo globale d’oggi. È convinto anche lei che l’amor patrio è un bene da tutelare, necessario in ogni società e che la specificità dell’Italia sia di essere una civiltà prima che una nazione e uno Stato? Si tratta di concepire l’amor patrio non contro le patrie altrui e tantomeno in una versione aggressiva, risentita o bellicosa verso il resto del mondo; semmai l’avversario è chi ritiene superato e malefico il legame patrio. Insomma è tempo di ripensare l’Italia in rapporto alla Costituzione, alla realtà presente e alla civiltà italiana che ha dato al mondo bellezze artistiche e grandezze culturali che nessun altro paese può vantare. E l’occasione per farlo può essere proprio quel 4 novembre di cui non si sente ancora alcun segnale di vita. Abbiamo passato un anno intero a ricordare gli ottant’anni delle infami leggi razziali, ci ricorderemo almeno in extremis che quest’anno è il centenario della Vittoria? Dov’è la Vittoria, le porga le scuse…

MV, Il Tempo 7 ottobre 2018

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    Marcello Veneziani

    Giornalista, scrittore, filosofo

    Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. E’ autore di vari saggi di filosofia, letteratura e cultura politica. Tra questi, Amor fati e Anima e corpo, Ritorno a Sud, I Vinti, Vivere non basta e Dio Patria e famiglia (editi da Mondadori), Comunitari o Liberal e Di Padre in Figlio- Elogio della Tradizione (Laterza); poi Lettera agli italiani, Alla luce del mito, Imperdonabili, Nostalgia degli dei, La Leggenda di Fiore, La Cappa e l’ultimo suo saggio Scontenti (Marsilio).
    Ha dedicato libri alla Rivoluzione conservatrice e alla cultura della destra, a Dante e Gentile. Ha diretto e fondato riviste settimanali, ha scritto per vari quotidiani, attualmente è editorialista de La Verità e di Panorama.

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